Rompo il ghiaccio con il primo "semaforo verde" per uno dei pezzi più interessanti che ho ascoltato ultimamente. Il pezzo si chiama "Ballata" e l'autore è Francesco Filidei. Eccone una registrazione da YouTube:
La registrazione dovrebbe essere tratta dalla prima, al festival Agora 2011 (Chiesa di Saint Eustache, Parigi, ensemble Muzikfabrik, lo stesso Filidei all'organo, Enno Poppe direttore). Recentemente, pochi pezzi mi hanno colpito dal vivo come "Ballata". Al di là della scrittura organistica (pure per un navigato organista come Filidei non so quanto sia facile gestire così bene l'impasto sonoro con ensemble ed elettronica, trattando l'organo in modo convincente, senza accademismo e senza ostentato virtuosismo), e al di là dell'efficacia dell'utilizzo degli spazi acustici (non è mica facile fare un'elettronica a Saint Eustache, e la registrazione rende solo giustizia al lavoro per metà), il punto vero è per me un altro, ed è sostanzialmente estetico.
Più precisamente, tra i vari contenuti interessanti (uso dell'oggetto sonoro personale e mai come objet trouvé, dissoluzione del continuum tra sfondo e figura, monumentalità nella piccola forma…), il brano tocca alcune corde che ultimamente mi sono care nella scrittura (e che peraltro spesso non riesco ad abbracciare come vorrei); ne cito solo un paio: l'essenzialità dei gesti e il rapporto tra iterazione-ciclo.
Con "essenzialità dei gesti" intendo dire che ogni elemento è al suo posto, non è un di più, né un di meno (e questo lo percepisco in quasi tutta la "Ballata", con qualche rara eccezione nella parte centrale), funzionale allo spirito d'insieme, non pleonastico, ed "elementare", nel senso di archetipico. Il gesto non cerca un'elaborazione formale derivante da qualche stravagante struttura, ma piuttosto la struttura è il gesto. Mi è capitata sottomano la partitura qualche tempo fa, ed è rimarchevole nella sua limpidezza. L'intero brano è costruito come giustapposizione di sezioni incardinate su sequenze elementari di note. I rapporti di forza sono chiari sin dal principio, per certi versi pure la direzione formale è chiara sin dall'inizio, eppure questa chiarezza non mi pare tolga l'interesse, anzi lo aumenta. Perché?
Azzardo che possa avere un ruolo - e passo al secondo punto - la dimensione rituale nel gesto, che prende le mosse da una dimensione ciclica e a cui il titolo naturalmente strizza l'occhio. Questo ritornare, nel brano, tocca quasi sempre una dimensione essenzialmente iterativa, ma mi piace concepire questi loop come un caso particolare di una dimensione "meccanica", nel senso fisico della parola. Nulla di completamente nuovo, certo, ma mi pare che gli sviluppi siano interessanti. L'esplorazione di una "meccanica" musicale non deve per forza mettere in secondo piano la ricchezza d'idee. Ricordo una giusta osservazione di Nunes, riguardo alle poliritmie (sovrapposizioni di ritmi regolari, come il battere di più orologi o metronomi con frequenze diverse): egli faceva notare come, già solo con la sovrapposizione di tre ritmi regolari, isolando una piccola parte del periodo complessivo si potesse creare una ricchezza ritmica notevole. Questo mi sembra tocchi direttamente una rappresentazione simbolica che diventa di tipo frequenziale (l'onda sinusoidale è qui in realtà un ritmo regolare): e quindi addirittura ogni ritmo può essere una piccola parte di un certo poliritmo. La dimensione frequenziale può diventare poi dimensione fisica (il metronomo non è dopotutto un pendolo, soggetto a leggi fisiche? E che succede al ritmo snaturando tali leggi, o introducendo altre forze, o passando ad altri sistemi?) o dimensione rituale (in cui forse percezione e contesto giocano ruoli determinanti? "Rito" e "ritmo" non hanno forse la stessa radice "ri…" che rimanda allo "scorrere"?), o entrambe le cose, naturalmente.
Mi fermo, lascio la parola a commenti o critiche, e mi scuso: una buona parte di quanto scritto (specialmente alla fine) in realtà attiene più a considerazioni personali che al pezzo in sé. Però dopotutto il valore di un brano è anche in relazione alla quantità di dubbi e domande che fa sorgere.
Secondo me non è mai esattamente per ragioni tecniche la ragione dell'interesse in musica. Ti domandi perchè la ripetizione non annoi e la chiarezza non sia invece motivo di stanchezza. In fin dei conti, per me, si tratta sempre di un equilibrio delicatissimo tra un'idea e come realizzarla, come farla respirare. Si tratta di schiettezza nella musica, di dire direttamente qualcosa. Ballata è un brano schietto, musica lineare e non al quadrato. Questo m'interessa. Forse domandarsi che cosa nella partitura determini la riuscita di un gesto come questo non è la domanda più giusta. Bisognerebbe domandarsi a che cosa serviva a lui e per ottenere che cosa...
RispondiEliminaSono perfettamente in linea con quanto detto da Eric. Non è mai l’aspetto meramente tecnico a suscitare interesse o per meglio dire ad “emozionare” l’ascoltatore. E’ come quando si giudica ad esempio un pianista suonare; non si afferma mai che sia stato soltanto tecnicamente pulito o veloce nell’eseguire, ma piuttosto ne si apprezza quanto trasmesso a livello emotivo, a quanto più sia stato capace di arrivare nelle viscere di chi ascolta.
RispondiEliminaIl pezzo di Filidei sembra proprio rifuggere ogni artificio puramente tecnico, e risulta efficace proprio perché figlio di una radicalità oramai rara nella musica contemporanea.
Il brano colpisce per la forma chiara, per gestualità essenziali e mai banali, per sonorità ben curate che toccano il profondo di chi ascolta. Il compositore sembra qui che davvero abbia pensato ogni singolo suono e lo abbia messo in relazione con gli altri elementi del pezzo con cognizione di causa. Anche gli interventi ripetuti, quelli che tecnicamente vengono definiti “loop” sembrano intervenire sempre con una logica musicalmente intelligente.
Daniele nel suo articolo parla di “sequenze elementari di note”, questa espressione mi ha fatto sorgere una serie di domande, ma soprattutto una, magari disarmante, che rappresenta un pensiero che mi tormenta da diverso tempo e che mi genera ogni volta molti dubbi e soprattutto molti problemi ogni qual volta devo appoggiare la mia matita sul foglio: può la semplicità essere un parametro sul quale puntare per il futuro della musica del futuro? Quella schiettezza alla quale faceva riferimento Eric, ovvero una forma di comunicazione più diretta, immediata, senza filtri, può rappresentare sempre di più l’avvenire?
In fondo la complessità non è altro che la radice di un pensiero, di una filosofia, di un’estetica.
Lo stesso Hegel affermava che “non c'è niente di più profondo di ciò che appare in superficie.”
La questione della schiettezza in musica sollevata da Eric è una questione molto interessante, che potrebbe meritare un post solo per lei. Però non credo che schiettezza voglia necessariamente dire immediatezza e rimozione dei filtri. Un brano può essere schietto eppure essere tutt'altro che immediato o senza filtri (pensiamo, ad esempio, al terzo movimento della Sinfonia di Berio).
RispondiEliminaAl di là di questo, per rispondere alla domanda di Raffaele, direi di sì: mi pare che la semplicità sarà per forza di cose la cifra quantomeno di una certa nuova musica - a dir la verità è già la cifra di molta buona musica esistente. Siamo stati sovraccaricati per anni di complessità, falsa complessità, nuova complessità, ipercomplessità; penso che siamo un po' tutti d'accordo che spesso questo scavalca problemi enormi come quello della percezione (o peggio ancora li ignora, facendo finta che la musica sia un linguaggio). Credo che la semplicità sia la forza di reagire con le piccole cose, ed è sostanzialmente di questo che sento un forte bisogno.
@Daniele
RispondiEliminaDici che per forza di cose una certa musica è destinata a cambiare, percorrendo strade fatte di semplicità.
Chi o cosa ti danno questa sicurezza? E la semplicità che auspichi e di cui sei sicuro su cosa dovrebbe basarsi?
Qual’è il margine fra semplicità e complessità?
Come dici giustamente tu per anni, anzi decenni, siamo stati sovraccaricati di materiale musicale per lo più incomprensibile dal punto di vista estetico (e molto spesso anche strettamente musicale), quindi mi chiedo: dove e quando la nostra percezione sarà in grado di recepire un messaggio che sia completo nella sua essenzialità?
E “quale certa” musica secondo te sarà probabilmente quella che attuerà questo cambiamento? Trovi che ci sia qualche compositore che già sia incamminato verso questa direzione? (rivolgo queste domande anche agli altri membri del blog!).
Io non sono poi tanto sicuro che questo cambiamento possa avvenire in tempi brevi, bisognerebbe innanzitutto decodificare il significato di semplicità, applicata ad un linguaggio in grado di sostenere tale peso. Credo ci siano delle riflessioni talmente profonde da fare che addirittura potrebbero sfiorare il metafisico, in modo tale dal non dover cadere nel solito scontro “consonanza vs. dissonanza”, “triade contro cluster”.
Anche io come te sento questa forte necessità di un rinnovo radicale del pensar musicale, che possa essere il meno possibile “sporcato” da complessità inutili, che molto spesso appaiono belle su carta ma poco efficaci sul palco.
Ma mi rendo conto che quella famosa zavorra di cui parlammo qualche tempo fa fatica ad abbandonarci.
Il tecnicismo troppo spesso prende il sopravvento sul pensiero.
Secondo me non è vero che ci siano state tendenze esteticamente inutili. E poi la semplicità in se è evocata in maniera radicale da minimalismo e spettralismo insieme. Nulla di nuovo quindi. Nel senso che il beethovenismo germanico d'inizio secolo (XX) ha trovato il suo antagonismo nella riduzione piuttosto che la moltiplicazione. Il punto è piuttosto che il problema del linguaggio musicale oggi non è più un problema. Per questo Sinfonia è vecchia, e tutta la musica che si pretende linguaggio e riflessione su di esso: insomma musica al quadrato (che Strawinsky e Debussy in primis hanno praticato). Ciò che la "svolta linguistica" ha portato è a un neo classicismo "stonato": la nuova complessità. Che è un linguismo, o quasi della musica vista come letteratura. I casi che sfuggono ce ne sono tanti. Ballata di filidei non è musica come letteratura, ma, mi sembra, si ferma alla musica, più modesta, ma forse, più schietta.
EliminaNon ho nessuna sicurezza, Raffaele, diciamo che è più che altro un auspicio; e vedo già più d'un compositore già incamminato su questa strada, sia tra i nostri "padri" (inteso generazionalmente), sia tra i nostri "coetanei". Non credo ci sia bisogno di un rinnovo radicale, ma semplicemente di focalizzare l'attenzione su quello che importa davvero. Hai ragione, c'è una zavorra di accademismo (più che tecnicismo) che sento anche io (anche in maniera introspettiva) come il problema maggiore.
EliminaNessuno ha mai affermato che vi siano state tendenze esteticamente inutili.
RispondiEliminaCome non credo che il minimalismo possa in sé essere considerata una corrente musicale semplice, forse ciò che la rende più fruibile è il suo linguaggio tonal-consonante. Ma attenzione! Lungi dal cadere nella retorica.
Un linguaggio che si basa su triadi non deve essere considerato semplice solo per il suo impatto immediato.
Non sono tanto d’accordo quando dici che oggi non è più un problema di linguaggio, anzi ritengo proprio che sia nel linguaggio (che oramai è divenuto sempre più ermeticamente auto-referenziale) il maggior punto di rottura fra il pubblico e i compositori.
Perdonami Eric ma non credo che Sinfonia sia vecchia, si tratta di uno dei grandi capolavori nel ‘900, sarebbe come affermare che la nona di Beethoven, il Tristano e Isotta di Wagner e La Sagra della primavera di Stravinsky siano vecchi.
Si tratta di lavori che hanno segnato un determinato periodo storico, molto spesso stravolgendolo cambiando radicalmente il modo di pensare la musica successivamente.
Sono invece d’accordo quando parli della “svolta linguistica”. Il linguismo musicale, fatte alcune eccezioni, è qualcosa che ha tolto alla musica vivacità, freschezza, trasparenza, ecco perché il brano di Filidei ci appare così “vero”.
Ho letto il vostro dibattito...
RispondiEliminaMi fa pensare alla controversia tra lo scrittore Stendhal e gli altri scrittori della sua epoca (XIXe). Secondo lui la letteratura deve rispecchiare la verità, e quindi essere molto « secca », senza fioriture, vale a dire molto semplice. Questa ricerca era la finalità e la ragione d’essere della scrittura di Stendhal.
Lui disse : « Je tremble toujours de n’avoir écrit qu’un soupir quand je crois avoir noté une vérité. »
In quell’epoca nessuno aveva veramente capito la sua ricerca perché lo scopo della letteratura non era l’espressione della verità, ma piuttosto una dimostrazione di destrezza, di abilità tecnica e estetica, che doveva impressionare il lettore, come un « Meisterstück » (œuvre de maître).
Ecco é il mio (piccolissimo) contributo alla vostra discussione
Clarisse
@Raffaele
RispondiEliminaè vero. Però hai parlato di "materiale musicale per lo più incomprensibile dal punto di vista estetico", che non è molto lontano. Il minimalismo non è semplice, ma ricerca una riduzione, questo non si può negare, così come lo spettralismo (quando parla di grado di prevedibilità per esempio). Quello che però li accumuna, come al Berio di Sinfonia, è che giustificano le loro scelte attralverso argomenti linguistici. Quindi per me passati. Per schiettezza intendo un pensiero della musica e non sulla musica, non in primo piano.
Benvenuta Clarisse. Interessante quello che dici. Nel pezzo di Filidei c'è una semplicità schietta, e forse ci vedi giusto paragonandolo a dei gesti alla Stendhal, o Flaubert anche. Ma trovo che il contenuto sia piuttosto diverso. Manca una narrazione in Filidei. Sembra più un'affresco in cui il cesello perde inportanza di fronte alla massa. Chissà!
@Eric
RispondiEliminaNon sono sicuro che la semplicità che intendevo fosse di tipo "matematico" (per cui, sì, effettivamente il minimalismo ne sarebbe l'apoteosi). Quanto alla musica al quadrato, colgo il tuo punto, lo capisco eppure non riesco a distaccarmi dall'idea che ci siano ancora tante cose interessanti là dentro. Intendiamoci: se "musica al quadrato" è tutto ciò che pretende usare la musica e i suoni come oggetto e non solo come "tessuto", allora secondo me siamo ben lontani da dire che è musica "vecchia". Ti porto un esempio chiaro dal tuo "Ritratto vivente" (per violino e elettronica), che mi ha colpito positivamente e mi ha fatto riflettere; si tratta del momento in cui verso la fine il tutto si ferma per lasciare un suono di vento nell'elettronica. Questo, io trovo, è un momento di musica al quadrato (il rimando al vento è chiarissimo, quindi in senso stretto la musica esce dall'essere solo musica) - ma non per questo suona "vecchio". Il contesto lo rende interessante e fresco. Il rapporto tra suono e meta-suono è interessante, ancor più perché inatteso e perturbante. Trovo che il discorso sul linguaggio musicale è una conquista (non nuova) che come altre conquiste (penso all'allargamento della tonalità) diventa un'opzione, mica un obbligo. E questo allargamento (esattamente come l'allargamento della tonalità) non è manicheo: c'è spazio per declinare variamente un'infinità di punti di vista. Ecco: secondo me il problema del linguaggio musicale è tutt'altro che vecchio, è solo da rideclinare.
Ciao Daniele. Io quel vento lo interpreto adesso come un gioco violento di prospettiva, perchè non c'è musica sottointesa (nel senso di altri brani), è più vicino a certi piani di Antonioni per me. Nel tuo Abroad per esempio è molto più presente, per me, questo aspetto cinematografico di piani, oltre alla citazione, che però, come immpressione passa in secondo piano rispetto al contrappunto spaziale. Per il linguaggio musicale io penso che non sia più un problema, ma piuttosto, come dici, da rideclinare. Per me però non nel senso della riflessione sul contenuto linguistico ma sul suo contenuto vitale.(è chiaro?...forse no..)
EliminaUhm, capisco il tuo punto. Ma continuo a pensare che sia il tuo "vento", sia (ben più pesantemente) il mio "abroad", siano a tutti gli effetti meta-musica. Anche il piano "cinematografico" è in certi sensi meta-musicale, no? Voglio dire che per me meta-musica comprende paesaggi molto più ampi della semplice citazione, e tanti angoli di questi paesaggi non sono in crisi, né "vecchi". Credo di capire quello che vuoi dire sul contenuto vitale, e sono in completamente d'accordo (è quello che hai in sostanza fatto con il "vento", no?). E' esattamente quello che intendo quando dicevo di rideclinare il problema.
Elimina@Clarisse
RispondiEliminainteressante! Però il contrario di una letteratura che rispecchia la verità non è per forza la letteratura "per impressionare". Continuando il parallelo paradossale, di pari passo con la Sinfonia di Berio, una letteratura che parla anche di sé stessa, - penso a Perec, o a Borges, o a Calvino - non dice delle grandissime verità, solo a un livello logico diverso? :-)
Bravo Daniele! Hai detto una cosa che mi è piaciuta tantissimo: “il linguaggio musicale è tutt'altro che vecchio, è solo da rideclinare”.
RispondiEliminaE’ una bellissima affermazione questa, in barba a chi continua a definire “morta” la musica contemporanea, come se non ci fossero ancora cuori e cervelli pulsanti che spendono ogni secondo della loro esistenza nell’inseguire un sogno.
Ma credo che avremo modo di parlare di questo in un post a venire, n’est pas?
Intanto vi presento Clarisse, una mia amica francese che ci segue da Parigi e che ha dei forti interessi artistici, soprattutto per quanto riguarda la musica di oggi (e di domani!) e la letteratura, come evidente dal suo bel commento, che trovo molto pertinente.
Il concetto di verità in musica è qualcosa di molto arduo e scottante da trattare, forse ne potremo fare un intero post di riflessione prossimamente.
Collegandomi proprio alla letteratura e al commento di Daniele su “una letteratura che parla di sé stessa senza dire grandi verità”, mi viene in mente Joyce, che col suo flusso di coscienza ha invece saputo dire non solo delle grandi verità, ma è riuscito a metterle causticamente a nudo, attraverso la “introspection”, estirpandole dal buio profondo annidato nell’essere umano. Quello stesso Joyce che darà il La ad un nuovo universo letterario, pieno di neologismi (i famosi finneghismi) e locuzioni talmente complesse da apparire incomprensibili.
Ed è qui che mi collego all’aspetto linguistico che oggi la fa da padrona in musica e di cui si parlava qualche commento fa.
L’aver creato dei neologismi in musica alla pari della letteratura ha contribuito a portarci verso una sorta di uni-direzionalità senza scampo per un certo tipo di musica, e sinceramente il minimalismo mi è sembrato una delle grandi novità dell’ormai non più recente passato, ma non una via di fuga… piuttosto una feritoia dalla quale intravedere cosa può ancora riservarci un certo tipo di “ambiente” sonoro, formale, estetico e al contempo (perché no!) linguistico.
Grazie a tutti per la vostra accoglienza :)
RispondiEliminaE' sempre molto interessante per la nostra creatività di interessarsi agli altri campi dell’arte. La letteratura e la musica sono, secondo me, come due sorelle che la vita ha separato ma che hanno tante cose da condividere.
Per evocare la citazione di Stendhal, mi sembra che sia una cosa fondamentale conoscere l’intenzione dell’autore prima di avvicinarsi alla sua opera. L’intenzione di Stendahl era, come lui stesso dice in questa frase, di descrivere la sua « verità », di descrivere con fedeltà le cose come sono secondo lui. Impressionare non era sua intenzione. Non significa necessariamente che i due concetti siano opposti, ma semplicemente non era il suo scopo.
L’intenzione di Flaubert era diversa : lui voleva suprattutto fare una critica ironica della societa francese della sua epoca (Madame Bovary, Bouvard et Pechuchet, specialmente) e della psicologia dei personaggi (L’Education Sentimentale).
Potremmo dire che l’autore e la sua profonda motivazione sono la parte invisibile ma fondamentale dell’opera. Nonostante, troppo spesso non sappiamo nulla quando scopriamo per la prima volta il lavoro dell’autore e quindi non possiamo capire tutti.
Mi sembra che questo è vero per l’arte contemporanea –e forse più particolarmente per la musica contemporanea.
-prima parte-
RispondiEliminaEntro in punta di piedi nella discussione su Ballata.
A questo punto trovo sia oggettivo riconoscere a questo lavoro di Filidei una benemerita capacità di innesco, e sono sicuro che molte delle tematiche sollevate saranno poi trattate in questo blog in capitoli ad hoc. A me Ballata piace molto.
Detto questo ci sono degli aspetti che amo e delle cose che invece mi convincono un po' meno. Mi rendo conto che nel dire questo c'è tutta la limitatezza di una personale esigenza di rapporto con il suono e in definitiva con la mia storia, quindi con ogni probabilità, le mie considerazioni restano estremamente limitate e per ora incapaci a lanciare una riflessione sui concetti piuttosto che sulla carne. Farò un tentativo.
Amo il richiamo ludico a gesti e suoni elementari, trovo sia un aspetto fresco e trattato in maniera esemplare, non a caso spesso sono proprio le "lallazioni" ad uscire dallo sfondo, guadagnando una sorta di peso (non pesantezza!) esistenziale che in qualche modo porta all'assurdo musicale contemporaneo.
Amo la pulsazione e annessi, loop dilatati o meno che creano forma o se volete aspettativa misurata nella percezione del flusso. Regolarità. Da questo punto di vista mi sento molto vicino a Filidei e dico che la nostra generazione taglia con parte della precedente.
Trovo vero ciò che dice Eric in merito alla semplicità... nulla di nuovo, minimalismo, spettralismo, aggiungerei anche (e soprattutto in questo caso) gli ecosistemi di Sciarrino; ma nell'indagine della nostra esigenza di semplicità io trovo altro, o almeno comincio a dubitare dai presupposti linguistici di tale ricerca, che forse sono proprio la "zavorra" citata da Raffele. Il terreno è dunque la schiettezza, come atto di una esigenza. Concetti come "grado di preudibilità", necessari nella formalizzazione di un pensiero-linguaggio nelle decadi passate, forse ora sono troppo piatte. A me non bastano.
La necessità di declinare una carezza o il bisogno tattile di pensare al tempo musicale ci spingono verso categorie non propriamente linguistiche. Le sferzate degli accordi di Ballata forse nascono da una sensibilità nuova (o se non nuova almeno giovane) che ha "vissuto" il time stretching o gli slow-motion di Zhang Yimou e che merita una collocazione a parte o quantomeno un nuovo occhio di indagine.
Mi è capitata l'occasione di parlare per qualche minuto con un paio di "mostri sacri-grandi vecchi" della musica contemporanea; entrambi si sono concentrati proprio sull'aspetto della pulsazione regolare. Rimasi sorpreso dal fatto che entrambi rifuggono tale dimensione per degli assunti estetico-linguistici piuttosto che perché non gli piacesse; il "piacere" che a noi non dispiace. Forse è il momento di rompere con un certo tabù. Probabilmente la plasticità delle folate di Ballata è assimilabile alla gestualità figurale e gerarchizzata degli anni '80, ma quello che ci propone Filidei (e non solo Filidei) è la definizione e declinazione del gesto nuovo, con altri appetiti, altre linee di orizzonte.
Non intendo ora parlare dei terreni dai quali nascono certi morsi di fame, ma se a questi si da un cibo fresco, ben venga promuovere il cuoco!
-seconda parte-
RispondiEliminaUn aspetto che secondo me non è affatto in secondo piano è il luogo. Pure in questo caso mi sento di dire che la scrittura per lo spazio (tematica antica e talvolta ostentazione intellettuale della categoria) è finalmente declinata in un modo interessante. È beatamente lampante. Metti in mano ad un compositore che sa fare l'elettronica e possiede una scrittura strumentale raffinata uno spazio che conosce come le sue tasche (Filidei suona regolarmente a Saint Eustache) e fagli pure suonare il suo strumento.
Tutto ciò mi sembra una acuta scelta di programmazione, se poi si pensa che l'Istituzione che ha commissionato (Ircam credo) concepisce e produce (anche per fini commerciali!) programmi per la gestione di spazi acustici "virtuali"; tutto ciò assume un odore di cosa ben fatta e pensata. Diamo la possibilità ai compositori di scrivere in uno spazio inesistente e « componibile », ma quando possiamo... diamogli uno spazio vero!
Parlo di spazio perché, forse, gli aspetti che meno mi convincono nascono da un ascolto limitato. In alcuni momenti di Ballata sento il conforto della suggestione, e allora mi manca il Filidei più acido che conosco. Ma ripeto, con ogni probabilità tutto nasce da un appiattimento dello spazio acustico, che gioca a sfavore di una articolazione dello spazio che immagino ci sia e che in questo caso mi sembra del tutto saliente. Mi fermo qui.