Visibilità è un termine con il quale ci capita talvolta di lottare. Voliamo basso: niente Calvino, nessuna teoretica della comunicazione... Per chi cerca di fare arte l'argomento risulta in genere indigesto, dai puristi spalancanti bocche al solo percepire il suono [vi-zi-bi-li-'tà], ai furbi ... che sanno sempre come funziona!, fino a chi ci combatte un po' quando ne ha voglia, magari postando distrattamente e tristemente un "concerto con il mio ultimo pezzo". C'è chi, cercandola, trasloca. In alcuni casi essere visibili è vitale “vado in tv quando arrivano nuove minacce perché la visibilità, la notorietà sono una forma di tutela" (Roberto Saviano), in altri casi è un po' meno "vita o morte" quanto piuttosto "cambio vita". Insomma... ci si combatte un po' tutti... quando poi!ecco!ti capita distrattamente di guardare la TV o di leggere una qualche rivista a grande tiratura e... "...noooooooo ma dai!incredibile..." così inciampi su un tuo concittadino che al Tg "suona" al contrario (?????!!!!!)... o magari rientri dal tuo ennesimo anno da emigrante e scopri di aver frainteso tutto: hai vissuto in un "estero" sbagliato, o forse la tua padronanza delle lingue non è proprio delle migliori e scopri di aver frainteso... tutto...
Intendiamoci bene! non entro ora gli argomenti!
Nel mio piccolo ricordo una seriosa intervista di due ore in occasione di una prima, fu poi pubblicato che avevo scritto il pezzo in un pub e che mi piacevano le bionde (?)...
Nell'Italia di chi parla di musica contemporanea c'è forse un incremento di incompetenza giornalistico/musicologica che porta a dei "monstre" mediatici deliziosissimi! c'è chi li ritiene un'arma pubblicitaria e li usa, c'è chi ne è vittima; fatto sta che quando la soglia tra entertainment e cultura era più netta, certi fraintendimenti erano rari, anche in situazioni limite. Niente nostalgia per carità!ma mentre a Parigi si celebra "La beauté du monstre" con musiche di Kourliandski e Cendo, qui si assiste ad un gioco al ribasso; il compromesso forzoso tra scarsità di spazi mediatici/contentuti e visibilità (più o meno cercata) a qualcuno non piace... se siete tra questi, se siete stati vittime della macchina del fraintendimento... insomma... raccontate le storie vostre o quelle altrui su /nu/thing!!! celebriamo i nostri mostri (brutti)! la caccia è aperta!
Nell'Italia di chi parla di musica contemporanea c'è forse un incremento di incompetenza giornalistico/musicologica che porta a dei "monstre" mediatici deliziosissimi! c'è chi li ritiene un'arma pubblicitaria e li usa, c'è chi ne è vittima; fatto sta che quando la soglia tra entertainment e cultura era più netta, certi fraintendimenti erano rari, anche in situazioni limite. Niente nostalgia per carità!ma mentre a Parigi si celebra "La beauté du monstre" con musiche di Kourliandski e Cendo, qui si assiste ad un gioco al ribasso; il compromesso forzoso tra scarsità di spazi mediatici/contentuti e visibilità (più o meno cercata) a qualcuno non piace... se siete tra questi, se siete stati vittime della macchina del fraintendimento... insomma... raccontate le storie vostre o quelle altrui su /nu/thing!!! celebriamo i nostri mostri (brutti)! la caccia è aperta!
E' un post molto interessante Marco, il tema della visibilità è un aspetto cruciale, in tutti i campi, non solo nel nostro.
RispondiEliminaIn un’epoca fortemente “grandefratelliana” volta alle più disparate sovraesposizioni mediatiche sembra quasi che sia d’obbligo il dover svettare a tutti i costi, il mostrarsi, rendersi pubblici, o peggio ancora... vendersi. Il tutto a scapito del talento, della ricerca, della pienezza. E se vogliamo anche del Mestiere.
Nell’insieme delle cose tutto ciò finisce per avere una pessima influenza su quello che poi effettivamente si produce.
Mi piace pensare che il mio lavoro, la mia ricerca esistenziale, i miei dubbi, percorrano un cammino che si districa attraverso sentieri interiori… e credo fortemente che bisognerebbe praticare con maggiore assiduità la preziosa arte del silenzio, da più parti.
Ciao. Bell'invito a riflettere sulla visibilità. Bisognerebbe sempre essere attenti e prenderla anche sul ridere per certe ignoranze...
RispondiElimina«Vivevo ormai lontano dal foro cittadino,
RispondiEliminamisantropo e sereno, poeta e contadino,
prezzo della gloria mai volli pagar,
contento di quel po' che seppi guadagnar.
Gente di buon consiglio mi fece capire
che l'uomo della strada attendeva il mio dire
che al rischio di farmi dimenticar
gli affari miei al volgo dovevo strombazzar!
O trombe della celebrità, vi suona la pubblicità! »
Georges Brassens
(nella sua canzone « Le trombe della celebrità » - "Les trompettes de la renommée" in francese)
Non possiamo nasconderci però: se facciamo musica è perchè abbiamo piacere che venga ascoltata. Se un pittore dipinge lo fa perchè la sua opera possa essere vista.
RispondiEliminaMa non possiamo avere come unico scopo questo, altrimenti saremmo simili a tanti musicisti che "fanno musica solo per soldi".
Non sono d'accordo con chi ci dice che "siamo invidiosi" di chi appare in TV, ma d'altra parte non nego che avremmo diritto anche noi a qualche spazio.
Lo spazio di discussione pubblica e mediatica sulla musica di oggi da tempo è venuto a mancare. Le ragioni mi sfuggono, come a molti di noi, e si tratta di una situazione che è comune a molti paesi. In Italia spesso raggiunge livelli inaccettabili, come il caso Allevi e quel poco di polemica suscitata da lui. Anche in Francia non è tanto diverso (basta guardare il blog di Manoury). In Germania c'è più stampa specialistica, e, cosa che dovremmo assolutamente importare, si fanno corsi di critica musicale a Darmstadt, Basilea e anche a Friburgo mi sembra.
RispondiEliminaNoi musicisti, e anche organizzatori, editori dovremmo proporre delle idee e non lasciarci costantemente superare su ogni proposta. Ci manca la forza di fuoco e anche per questo abbiamo aperto un blog tra di noi sperando che le tematiche tornino poco a poco al centro della discussione, così come le idee. Paride dice bene. (grazie di scrivere!!!!!!!!) Ma il punto è che tra accademismo e carriera anche noi compositori siamo nel mondo di oggi, e ne vedo pochi disposti a mettere tutto in gioco per le loro idee e per creare in continuzione del nuovo lottando per fargli avere il posto che merita nella società. Forse fino a quando non cominceremo a trovarci e costruire qualcosa oltre ai nostri benemeriti pezzi, e non ci batteremo con mail, telefonate e battaglie varie per uno spazio, nessuno ce lo darà da solo. Insomma, dobbiamo guadagnarcelo....
Secondo me, Eric, prenderla sul ridere per certe cose aiuta solo noi a fregarcene, ma forse non aiuta ad avere una vera coscienza della situazione. Quando "certe ignoranze", come le chiami tu, diventano tanto diffuse, non sono più percepite come ignoranze, ma come la base di conoscenza standard...
RispondiEliminaA mio modo di vedere, queste cose accadono in primo luogo perché c'è un'enorme carenza di educazione musicale. Questo, credo, è il grosso del problema; tante altre cose sono palliativi. Credo che uno spazio di discussione pubblica sia importante (e non un palliativo); allo stesso tempo socialmente inutile senza una vera educazione - sarà utilissimo per gli "addetti ai lavori", utilissimo per gli interessati, ma il punto resterà "di nicchia". Obiezione: ma la nostra musica non deve per forza arrivare alla casalinga di Voghera! Vero. Nessuno lo cerca esplicitamente. Ma in linea di principio, l'auspicio dell'artista resta una certa universalità: è vero (come pensa Andrea Agostini) che posso rivolgermi solo a persone che "conoscono le basi del codice" con cui parlo (metaforicamente); allo stesso tempo legittimamente ci piace che queste basi fossero ad appannaggio di un pubblico più vasto possibile. Utopia certo, ma ci si muove anche per utopie. Personalmente, Paride, non ho piacere che la mia musica venga solo ascoltata: ho piacere che venga apprezzata o al limite criticata o "stroncata"; entrambe le cose (e parlo di vere stroncature) richiedono tempo, intelligenza, acutezza, disposizione d'animo, voglia di mettersi in gioco. E come giustamente dici, il paradosso è che vorremmo che sia universale, senza essere veramente pensata in primo luogo per essere universale. Ma questo non è un vero paradosso: personalmente penso che l'universalità non sia in sé sola un pregio, il pregio è la forza contenuto, e l'universalità ne è solo un obiettivo condizionato.
Nessuno degli spazi di discussione che conosco è principalmente centrato sull'educazione all'ascolto; e se vogliamo riprendere il filo di un disinteresse lungo decenni, non possiamo pensare di raggiungere l'obiettivo senza passare per la scuola.
Anche io, Paride, non credo che "siamo invidiosi"; credo solo che vorremmo che le persone avessero una maturità di ascolto e di pensiero tale da cambiare canale quando si parla di Allevi e alzare il volume quando si parla di Romitelli. Solo che siamo ben lontani da tutto questo, e il problema è una commistione di colpe storiche, innegabili, delle avanguardie, e una completa assenza di una qualsiasi educazione all'ascolto.
L'attenzione sul "commerciale" (ergo: visibile) non è certo un fenomeno nuovo. A scanso di equivoci: quando parlo ogni tanto di recupero di un ruolo sociale dell'arte non intendo affatto un ruolo commerciale. Quello può pure esserci, e non vediamolo come una diavoleria - come il gift shop alla fine di un museo - ma solo come fumo che ci ricorda quanto è buono l'arrosto!
(grazie Eric)
RispondiEliminaAttenzione però. Non vorrei rischiare di cadere nel fondamentalismo culturale.
Non volevo nominarlo, ma ormai il personaggio Allevi è come un elefante in una stanza, e non si può evitare di tirarlo fuori in discussioni di questo tipo.
Non ho nulla contro il personaggio, e non ho nulla contro chi ascolta la sua musica. Il problema è, forse, di scala di valori: c'è una certa forma di musica di consumo, e forme di musica non di consumo (per estremizzare e sintetizzare il tutto). Non impedirò a qualcuno di ascoltare Allevi, ma allo stesso tempo farò di tutto per mostrare le differenze tra Allevi ed un qualsiasi compositore del passato.
Tornando a "noi": abbandoniamo l'idea che la nostra musica sarà universale. Il desiderio rimane (e a quello dobbiamo comunque aspirare), ma sarà di difficile realizzazione.
Non possiamo, al tempo stesso, pensare che di punto in bianco la gente inizi ad ascoltare musica classica o contemporanea negli iPod: non sarebbe più musica classica, ma musica di consumo.
Non dobbiamo neanche aspirare a luoghi come TV, Radio e giornali, sperando che tutti inizino a parlare di "nuova musica".
Esistono dei luoghi della musica classica, e il problema è lì: proprio nelle accademie, nei Conservatori, nei teatri e nelle sale di concerto si fa poca musica contemporanea.
Non dobbiamo prendercela con le TV, ma con gli addetti ai lavori.
Anche 200 anni fa le prime esecuzioni generavano sempre qualche scandalo (chi più e chi meno), ma la differenza era che, allora, le prime esecuzioni erano "eventi". Oggi, a volte, ho l'impressione che le "stagioni di musica contemporanea" siano delle elemosine, dei contentini... "tiè, ecco 3 prime esecuzioni". Poi basta però.
Aggiungo: il problema educativo rimane ed è grave. Lavoro nella scuola media, e ho difficoltà a far apprezzare poche battute di Beethoven o Chopin, figurati se riuscirò a far capire loro altri linguaggi.
EliminaMa il problema educativo non è solo dei ragazzi, lo è anche degli adulti.
Mi inserisco nella conversazione salutando affettuosamente Paride al quale do il benvenuto.
RispondiEliminaGià precedentemente avevo sollevato la questione dell’educazione. E’ lì a mio avviso il punto debole di gran parte della società italiana attuale.
Paride tu dicevi che a scuola fai fatica a far apprezzare poche battute di Beethoven o Chopin, io in conservatorio ne faccio altrettanta, se non di più, nel far ascoltare Schönberg o Webern, e non ti dico quando cerco di proporre Lachenmann, Berio o Grisey.
E parliamo di educazione su scala diversa.
Il conservatorio dovrebbe essere un focolaio brulicante dove l’apprendimento della storia e del presente dovrebbe superare certe barriere. Che invece persistono, anzi, pare che aumentino.
Sono d’accordo con Eric, attualmente mancano spazi adeguati per la discussione sulla musica di oggi (ma forse dell’arte in generale?), come sono d’accordo sul fatto che se aspiriamo ad avere un eventuale spazio dovremo guadagnarcelo.
Ma dove? Parliamo di cosa? Tv? Radio? Giornali?
Per poi veder scritto come capitato a Marco che la tua musica è stata composta in un pub e che preferisci le bionde? Sono scettico…
Si parla del commerciale, beh…
Chi di noi non vorrebbe un disco monografico che possa suscitare un vasto interesse, o partiture che vanno a ruba negli store, o ancora passaggi in radio, interviste e altre diavolerie mediatiche…
Ripeto, chi di noi non lo vorrebbe?
Ma attenzione, avere tutto questo tanto per averlo, dimenticandoci che abbiamo il compito (anzi, il dovere) di “rivelare” al mondo (ma a me basterebbe anche solo una persona) qualcosa di inaudito, di potente, di magico, di vivo e quant’altro volete, per me non ha senso.
Esporsi senza comunicare un vero messaggio, mi pare controproducente. Essere meteora in un mondo che ti brucia in un giro di lancette non credo faccia al caso nostro. E’ per questo che auspico sempre di più maggiore profondità, introspezione, cura. Sempre meno “composizioni” da arredamento, sempre più pezzi “unici”.
Altra cosa, io non penso che dal nostro punto di vista possa trattarsi di essere “invidiosi”, ma piuttosto forse di sconforto, agitazione, insofferenza?
E a me di Allevi e di quelli che si comparano a lui interessa molto poco.
D'accordo essenzialmente con tutto e tutti. Aggiungo una considerazione probabilmente marginale:
RispondiEliminaIl mio ascoltatore ideale, e idealmente educato, trova più facile Romitelli di Bach, esattamente come è più facile leggere Calvino che Dante. Romitelli scrive del nostro mondo, parla la nostra lingua: non ha senso che un compositore morto due secoli e mezzo fa ci risulti più accessibile e più familiare di uno con cui ho avuto la fortuna di cenare insieme. C'è una mitizzazione di un insieme di esperienze musicali straordinario, ma anche estremamente limitato nel tempo (dalla metà del '600 all'inizio del '900) e nello spazio (l'area di lingua tedesca sopra tutti, in second'ordine Francia, Italia, Russia, marginalmente gli altri paesi europei).
Ecco, questa mitizzazione crea, mi sembra, danni enormi.
Uno: tutto quello che è sufficientemente vecchio viene accettato e sostenuto acriticamente. Gli enti lirici continuano a propinarci orrende opere dell''800 italiano con musiche da banda dei carabinieri e testi da romanzo d'appendice: ma l'opera è cultura nazionale, e quindi vai di finanziamenti pubblici, di articoli di giornale e di tournée in Giappone!
Due: per molte persone - soprattutto di generazioni precedenti alla nostra - che hanno avuto uno straccio di educazione musicale la musica è SOLO quella: Bach, Beethoven, Brahms vanno bene, Mahler è un po' strambo, Stravinsky e Bartók ommioddio questa musica contemporanea, e tutto il resto non esiste.
Tre: persone intellettualmente agguerrite che però, a causa in primo luogo delle deficienze della scuola, non hanno avuto neanche l'educazione musicale di cui sopra percepiscono giustamente gli atteggiamenti del punto due come retrivi, bigotti, incartapecoriti. E così succede che molti miei amici, conoscitori raffinatissimi della letteratura, dell'arte figurativa, del cinema, poi non abbiano mai sentito un quartetto di Beethoven: e, se gli capitasse, non riescano a decodificarne il senso, a leggerne la bellezza. È assurdo, ma è così.
Ok, probabilmente ho perso il filo - e quindi chiudo qui per il momento...
Credo che tu non abbia affatto perso il filo. Sono d'accordo su tutto, in particolare sulla mitizzazione, forse nulla passa una certa soglia di "universalità" senza che sia stato oggetto di mitizzazione. A questo punto mi chiedo... chi crea il mito?Ringrazio Paride per il suo contributo (!!!), concordo quando dice che il problema è primariamente nelle Istituzioni musicali; l'insofferenza e l'ignoranza di chi organizza è a tratti lampante, così ci si consola chiamando il compositore (bravo o meno) che si conosce, e ci si mette l'anima in pace (si è fatta la carità che si doveva ai poveri compositori). Siamo un po' tutti troppo giovani per sapere come funzionava una volta, ma ho come l'impressione che in passato la consacrazione (o la distruzione) avvenisse piuttosto nelle sale da concerto e nella critica (ok... anche con la politica ma mi dilungherei troppo..), poi al limite c'era la TV. Non c'è invidia o qualsivoglia rodimento carrieristico: è una questione d'arte, c'è troppa rassegnazione da parte nostra e moooolto probabilmente c'è stata poca attenzione da parte dei nostri predecessori, ora il rischio è alto e sebbene io creda che riderci sù sia a tratti doveroso, spero che il nostro riso acido bruci qualche coscienza. Ora si rischia che l'articolo di Vanity Fair diventi il sussidiario per le direzioni artistiche...
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