La cosa profondamente vera del rapporto tra naturale e artificiale, che in musica tocchiamo con mano ogni giorno, consiste nella difficoltà del distinguerne i poli. Mi capita di rispondere alla domanda sul perché la scala sia suddivisa in dodici parti uguali. E per tagliare corto dico che è arbitrario, non ci sono ragioni di fondo teoriche. Ci sono piuttosto delle ragioni pratiche che ci hanno portato a fare delle scelte, che in generazioni si accumulano. Questo mi fa sempre molto pensare e mi fa desiderare di potere rimettere tutto a zero e di fare finta di lavorare come se nulla ci fosse. Facendo così mi rendo conto delle regole che ci sono, dei limiti ed anche del perché, e anche che certe cose le farei come mi hanno sempre insegnato.
L'aspetto fondamentale del problema è che la musica, nei suoi limiti e nelle sue richieste al compositore, nella bellezza e nella bruttezza, appartiene al mondo della fiction e dell'immaginazione, del non reale che si finge tale, e per questo a volte può colorare il reale di una patina di rappresentazione supplementare, che forse è lì dall'inizio dei tempi.
La questione dell'artificiale è legata alla rappresentazione e quindi ai ritocchini, che ci sono sempre. La rappresentazione, il ritocchino, o l'ideale, sono però cose che si discostano e fanno a pugni con la morale e la verità e sono più attaccati al mondo della tecnica. In fondo, le questioni che ci poniamo sulla registrazione in disco e sul pezzo che funziona solo in studio e non in concerto, obbligando tutti a amplificare, apre questioni morali o di qualità artistica (se si deve amplificare senza che il compositore lo sapesse allora c'è un problema). Questa questione, però, per la finzione che la musica è, resta superflua.
La musica è un rito che non è più; si carica di responsabilità un individuo, il compositore, di creare il simbolo da celebrare, facendogli credere di essere libero, ma in realtà la sua funzione è decisamente sociale e ben chiusa in molti limiti, come il gusto, il bello, il comprensibile: scrivere musica non è come parlare ad un amico. La musica è tecnica, non c'è nulla di naturale nella musica. Staccarsi da una forma che funziona per farne una che non funziona, esplicitamente, è cosa che in musica non si fa. Anzi, lavoriamo ore per rendere la nostra scrittura naturale, pur essendo l'artificiale per eccellenza. Nell'arte lo si fa, di fare opere esplicitamente brutte, ma vediamo il risultato dell'arte contemporanea. In musica meno, ma non mi manca tanto. La musica nostra, quella che ci piace, ha una portata critica che deve svilupparsi e non può che farlo cercando di mettere in scacco il naturale e mostrare l'artificiale che le appartiene, puntando il dito verso le risonanze psicologiche che il presunto naturale genera. Quando si toglie il naturale si lascia il vuoto e si mostra un sostrato arbitrario che appartiene, questo sì veramente, a tutte le cose. Questo vuoto, che è dappertutto e che la musica cerca di farci dimenticare, dovrebbe obbligarci, ferocemente, a dare senso a ogni nostra nota, a riempire di cose da dire le pagine, senza fermarci alla tecnica.
Quei compositori che non lo fanno usano la musica per fini personali, e andrebbero legalmente perseguiti. La musica è artificiale, ci mostra le cose come non sono, sempre, per cui smettiamo di credere ai discorsi oggettivi sulla musica e sulla forma, sul linguaggio e sulla razionalità. Cerchiamo di parlare oltre queste cose, che sono il frutto di una bizzaria della storia e che avrebbe potuto essere completamente differente.
Post molto bello, credo di doverlo rileggere altre due o tre volte per cogliere il senso di alcune frasi. Intanto però butto lì una provocazione: ci sono correnti di pensiero che indicano quelle cose che "avrebbero potuto essere completamente differenti" (ad esempio, il sistema temperato semitonale, o la scala maggiore...) come in realtà una scelta privilegiata tra tutte le scelte possibili. In questo senso, forse per certi versi la loro artificialità collasserebbe? Penso al sistema temperato come soluzione più semplice invariante per trasposizioni, o alla scala maggiore come "epifenomeno" per una proprietà di "ripartizione più larga possibile delle note" (cosiddetti "maximally even set": http://en.wikipedia.org/wiki/Maximal_evenness).
RispondiEliminaBenché ci sia del vero, non mi sento di appoggiare completamente la deriva "naturalista" di questi ragionamenti (universalità e naturalità sono due cose ben distinte), però mi pare interessante segnalarlo come punto di vista.
Correnti di pensiero si. Ce n'è una in particolare, e storica, che è la fenomenologia. Uno studio fenomenologico permetterebbe di vedere l'oggetto astratto nel tempo e tutti gli assi di forza e di sviluppo, tra i quali sicuramente ci sarebbero le scale che conosciamo. Considerare una cosa che ha una giustificazione razionale o causale come naturale è però illegittimo, mentre spesso facciamo questo errore. Per me, tutto è natura, pure lo smog, o l'elettronica...tbc
RispondiEliminaSono sempre diffidente quando si parla di naturalezza nell'uomo. Si potrebbe dire che nulla di quello che facciamo è fatto in maniera naturale: tutti i mammiferi mangiano, cacano, dormono, si accoppiano, ma l'uomo inventa il risotto, il water, il letto, il kama-sutra (la cucina molecolare, la merda d'artista, i barbiturici, il fetish)…
RispondiElimina… io invece penso che la natura dell'uomo è quella di essere culturale: per cui "artificiale" (cioè "fatto secondo un'arte") diventa solo la peculiare declinazione che il "naturale" assume nell'essere umano. E infatti un uomo lasciato nudo su di un'isola deserta o comincia a costruirsi degli oggetti o muore. L'uomo senza tecnologia non sopravvive, non può esistere.
Comunque. Io non ragiono mai in termini di naturalezza della scrittura. Piuttosto, mi pongo il problema della sua efficacia: di nuovo il verbo "facio", lo stesso di "artificiale", lo stesso di Robinson Crusoe che si costruisce la capanna. "Naturale" in musica lo posso usare come metafora per "apparentemente privo di sforzo" o "non ostentatamente meccanico", ma finisce lì: se non vuol dire questo non lo capisco. L'arte è artificiale, ancora una volta ce lo dice la parola stessa.
PS: la divisione dell'ottava in 12 semitoni è artificiale perché è un costrutto, ma non per questo è arbitraria o arbitrariamente sostituibile: è invece un fenomeno strettissimamente culturale, che apre possibilità (il Tristano) e ha un prezzo (la triade maggiore è stonata). Ed è quindi appropriata, efficace, in un certo contesto musicale, estetico, culturale, che è guarda caso il contesto in cui è nata, e inappropriata, inefficace altrove.
(piccolo aneddoto non del tutto pertinente:
RispondiEliminasto ascoltando in cuffia un pezzo per ensemble che non vi dirò, con una scrittura strumentale sostanzialmente tradizionale ma raffinatissima. a un certo punto sento un suono incredibile, misterioso e drammaturgicamente perfetto. mi entusiasmo, mi chiedo da quale strumento esce, come si scrive in partitura... e una manciata di secondi dopo capisco che è la centrifuga della lavatrice di casa mia. allora, che cos'è la naturalità?)
Prendendo le parole in senso ontologico, sono d'accordo sul fatto che naturale e artificiale non sono in contraddizione, e che il secondo è una declinazione del primo. Ma torniamo al punto di qualche post fa: la musica è qualcosa che "avviene" nel nostro cervello, il resto sono onde sonore. E quindi ogni oggetto musicale è artificiale per definizione (e quindi naturale per inclusione).
RispondiEliminaArbitrario non è artificiale, né non-arbitrario è naturale. Però, se vogliamo confrontarci con la realtà (almeno nei suoi modelli fisici), questo non toglie che esiste un certo ordine.
La sequenza degli armonici non è solo non-arbitraria: è anche naturale. Si basa sui numeri naturali (che si chiamano naturali non per finta - ma qui si aprirebbe una lunga discussione sull'universalità della matematica, cosa di cui io son abbastanza convinto). Altro esempio: più o meno tutti (più o meno!) percepiamo i colori nella stessa maniera, quindi, ad esempio, lo spettro iridescente dell'arcobaleno è una conformazione di colori più "naturale" di una con i colori permutati.
"Naturale", in questo caso, non è inteso in senso ontologico, ma in senso formale: è naturale qualcosa all'interno di un certo sistema. Il sistema può pure essere "artificiale": ad esempio, la scala cromatica è naturale all'interno del temperamento equabile. Se capita che questo sistema sia il "libro" della natura (ok, ok... il modello fisico della natura), forse questo non è il naturale per eccellenza? (serie di armonici...)
Ma se la musica può prendere questa naturalezza come "base di lavoro", a un certo punto se ne deve disfare, e costruire qualcosa sopra quei mattoni. Proprio come a un certo punto si deve disfare della perfezione delle strutture matematiche per lavorare con le strutture percettive.
Semplicità, a mio modo di vedere, è essere capaci combinare (comporre) questi mattoni in modo tanto minimale, ma tanto potente, che la (per quanto lontana) percezione della struttura "naturale" soggiacente rimane, pur inserita in un contesto percettivo immaginifico che ne moltiplica i piani di lettura.
Le scelte che portano un elemento del mondo a cambiare nel tempo si compiono sotto l'influenza di varie spinte. La suddivisone dell'ottava in dodici semitoni è stata l'oggetto del - presumibile - primo studio di etnomusicologia della storia, proposto da Max Weber nell'ultimo volume del suo maxi-trattato "Economia e Società" (1922). Essento weberiano, paragonava la suddivisione dell'ottava in dodici parti con la divisione del lavoro nelle società capitalistiche occidentali, confrontando tali sistemi (di società e musicali) con altre culture extraeuropee. L'esempio serve solo per dire che possiamo vedere come la storia che porta alla creazione di un oggetto culturale subisce le influenze di diversi fattori - artificiali, naturali, e sociali (certo, magari la lettura di Weber è un poco forzata). Aggiungo anche una cosa, che Eric forse lascia intravedere o presagire. Il senso del bisogno e della necessità. Vi chiedo se tale fattore esiste, ha una sua rilevanza o è un falso mito, se sta sopra/sotto/a fianco l'artificiale / naturale, se li sussume, se li rifiuta, oppure se è come paragonare fra loro degli oggetti diversi, e se è necessario (ah!) parlarne. Bon.
RispondiEliminaArbitrario invece per me è tutto, e i modelli sono immaginazioni nostre. Lo stesso vale per la musica, per quanto mi riguarda. La sequenza degli armonici è naturale, va bene, ma che sia al centro di un sistema musicale è assolutamente arbitrario. Secondo me si parla troppo di strutture. In fin dei conti le strutture le vediamo sempre dopo che almeno un esemplare è stato costruito. Non dobbiamo confondere tra strutture naturali e pratiche. Mi sembra invece che (daniele) confondi i due piani argomentando con il formalismo. Ma in fin dei conti, una cosa deve essere bella suscitare le nostre domande sulla sua struttura. Non ci poniamo mai domande formali su delle cose orribili. Quindi il bello e il brutto mi sembrano categorie precedenti la forma e la struttura.
RispondiEliminaConcordo con Andrea che ho confuso tra naturale e efficace. Una scrittura efficace mi interessa, una naturale meno...
Sì però qui la questione è (e secondo me non si può sfuggire dicendo che sono due cose completamente staccate): c'è una bellezza nella struttura. Non è la sola bellezza, e non è nemmeno la bellezza musicale, naturalmente. Però c'è una bellezza che può toccare la bellezza musicale. E' vero che le strutture le vediamo sempre dopo che un certo esemplare è stato costruito, dopodiché però ci chiediamo anche _che cosa_ di ciò che abbiamo ascoltato che ci sembra bello.
RispondiEliminaSe scriviamo un ribattuto (vedi questo, dato che lo stavo ascoltando), è perché c'è una struttura di fondo che esteticamente ha delle proprietà che ci piacciono. E la stessa cosa vale, a mio avviso, per la serie armonica. La sua bellezza esula dalla struttura, ma deriva in un certo senso dalla struttura. Dopodiché non c'è nulla di manicheo in quello che voglio dire. E' vero che la categoria di bello precede la struttura, sono d'accordo. Ma non è così semplice: bellezza e struttura talvolta si incrociano. E' vero che in diversi casi ho sentito gente dare giustificazioni strutturali posteriori e completamente non necessarie, e questo è qualcosa di perverso (ma forse di legittimo). Ma in qualche caso però no: il rapporto percettivo è così chiaro! (ribattuto, serie armonica, più molti altri). (E tra l'altro non sono nemmeno così sicuro che non ci poniamo domande formali su cose orribili...)
Bon, tutto questo un po' alla rinfusa, scusate la confusione...
Secondo me porsi domande sulla struttura è una maniera per non porsi la domanda del senso o del significato. Nell' Andriessen che proponi il ribattuto è l'ultima cosa che sento, per primo sento una risonanza in me di qualcosa di minaccioso che mi affascina. E questo non è una struttura percettiva. Semmai la struttura del ribattuto è una considerazione possibile, ma anche se non la formalizzo lo capisco.
RispondiEliminaCapisco, nello stesso tempo non ti viene da chiederti che cos'è che rende quel processo "misterioso”? Sicuramente questa domanda viene dopo quella risonanza di cui parlavi tu, ma per quanto mi riguarda comunque a un certo punto arriva. Forse è un riflesso condizionato di razionalizzazione, o di ascolto ridotto, può essere; però mi chiedo appunto: che cos'è che rende questo processo misterioso? E mi rispondo: ribattuto, sfasamenti, spazializzazione diversa dei colpi: tutte cose che sono sostanzialmente processi formali.
RispondiEliminaPerò sono assolutamente d'accordo con te che il loro valore non sta nell'essere processi formali, ma piuttosto nell'altrove a cui mi rimandano immediatamente. Forse, e credo qui un po' diversamente da te, penso che una parte di quell'altrove è legato al loro essere un certo processo formali. Ma non sono categorico su questo punto, mi pongo solo delle domande.
E sì: hai ragione: l'essenza del procedimento (o il senso del momento musicale, se preferisci), anche se non la formalizzo la capisco (però a me, in quanto compositore, non in quanto ascoltatore, a me a volte formalizzare aiuta... a volte!!!)
E l'ascolto in quale scia si colloca?
RispondiEliminaovvero...la nostra coscienza del percepire la musica è artificiale, naturale...o corrotta da una delle due componenti?
Lo stesso Berio affermava che esistono modi di ascoltare la musica per quanti individui esistano...
(ho appunto da poco letto questo articolo:
http://www.ilcorrieremusicale.it/i-modi-di-intendere-la-musica-tanti-quanti-sono-gli-individui-secondo-berio)
la soggettività è dunque un elemento artificiale?
Me lo chiedo perché ognuno di noi ha un percorso di vita che va gradualmente modificandosi nell'accumulare esperienze...
mi piace usare una metafora in questo senso, cioè che siamo come delle rocce in balia del mare, che vengono erose e modellate col passar del tempo dalle onde...
Dunque questo nostro movimento di "erosione" è artificiale o naturale?
Secondo me entrambi. Grazie di aver postato il link all'articolo e al filmato di "C'è musica e musica" di Berio. Quando ancora la Rai si occupava di cultura musicale seriamente (vi immaginate oggi un programma Rai che intervista Harvey, Lachenmann, Ferneyhough?). Vado un po' fuori argomento rispetto al post: è incredibile come alcune opinioni sembrino lontane anni luce da noi (e non "solo" quarant'anni), e altre così attuali... Castaldi: "La musica leggera è un fatto sociologico e non musicale: non è veramente musica, [...] perché la musica commerciale è fatta secondo i gusti di chi la deve consumare". A parte il fatto che leggera e commerciale sono aggettivi abbastanza diversi... sono opinioni come queste che ci hanno chiuso nelle catene da cui cerchiamo di divincolarci. Rivedere questi filmati dà una bellissima panoramica per capire (al di là delle loro musiche! solo per ciò che dicono) quali compositori parlano in maniera moderna (Berio, Boulez...) e quali no (Castaldi, Nono...). Questo è il mio parere naturalmente, e esula dal post. Sarebbe carino tornare sull'argomento in un post futuro, magari partendo proprio da "C'è musica e musica".
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