Si parlava di do maggiore, in qualche post fa, ed eccomi quindi a proporvi un piccolo brano che dei tasti bianchi fa il suo unico strumento. L'autore non è giovane né sconosciuto, bensì un compositore decisamente già affermato; vi propongo ugualmente il brano, perché mi pare sia una pagina bella, semplice e sincera. Nella registrazione Youtube proposta, il brano è suonato molto bene da Alfonso Alberti – per contro, temo che il livello sonoro sia stato scelto male nell'upload, e risulta essere talmente elevato da finire per distorcere diversi accordi accentati. Per correre ai ripari, abbassate il volume quasi al minimo, altrimenti perderete completamente le tinte intime e insieme misteriose, che invece a mio avviso sono la prima cifra del brano.
"La lumière n'a pas de bras pour nous porter", per pianoforte amplificato, è dedicato alla memoria di Dominique Troncin, musicista, compositore e amico di Gérard Pesson. Diversamente da altri pezzi in cui la dedica alla memoria è a posteriori o quasi di circostanza, in questo caso il pezzo è effettivamente stato scritto di getto dopo la morte di Troncin.
Ve lo propongo per diverse ragioni. Prima di tutto perché mi ricorda vecchie discussioni su onestà, sincerità e schiettezza in musica, finite invariabilmente a tarallucci e vino. Questo pezzo cammina sulla linea sottile che divide ciò che è da ciò che vorrebbe essere, e mi sembra cammini sempre dalla parte giusta, pur giocando con il fuoco – il che, a mio modo di vedere, è pure un merito.
Mi piace inoltre l'utilizzo minimale dell'amplificazione, in un quadro di completa intimità – un ossimoro che in questo caso funziona davvero bene: l'amplificazione del pianoforte è funzionale al buon livellamento i due gesti fondanti: il gesto a "guiro", prodotto dalle unghie o dita trascinate lungo i tasti dello strumento (che non può non rimandare al più famoso Guero lachenmanniano), e la percussioni dei martelletti sulle corde, che (almeno mi sembra) venga davvero oggettizzata: l'interesse è nel tasto, nel martelletto, nella corda, nel contatto, e non tanto nel risultato astratto che ne deriva. Il do maggiore è quasi un corollario di questa interpretazione, e questo mi pare un approccio tanto naïf da essere interessante.
Altro appunto: non amo il già citato Guero. Per carità, lo trovo molto interessante, ma datato – ecco, forse intendo dire che lo trovo interessante solo se riesco a inquadrarlo nel contesto storico-musicale. Invece, l'utilizzo che Pesson fa del gesto "guiro" è fuori dal tempo, come fuori dal tempo sono probabilmente gli archetipi di tutte le danze. Andrea (Agostini) parlava qualche tempo fa su questo blog del fatto che la musica contemporanea non fa cantare, non fa pregare e non fa danzare. È vero, ma ci sono casi in cui riesce a giocare con alcune di quelle sensazioni, e questo mi pare uno di quelli.
Un'ultima riflessione che vi propongo riguarda le modalità di scrittura. Questo brano ha tutta l'aria (ma potrei sbagliarmi) di un pezzo la cui ideazione, gestazione e soprattutto scrittura sono compresse in un tempo molto breve. Un pezzo scritto di getto, insomma. Quanto perdiamo della forza espressiva quando ci ostiniamo a razionalizzarla e rifletterci? Non v'è alcuna vera risposta, naturalmente, ed è forse il più importante tra i nodi irrisolti della scrittura musicale in occidente.
Direi che il pezzo funziona. Ha un'idea, due elementi chiari, due gesti semplici.
RispondiEliminaChe poi il tempo per scrivere il pezzo sia stato breve, non significa che sia stato scritto senza un minimo di progettazione.
Forse si potrebbe pensare al tempo che spendiamo in eccessive strutture e/o schemi per comporre. E con questo non voglio dire che non sia necessario progettare una composizione: ma l'idea che vogliamo trasmettere quale è?
Vogliamo raccontare un'idea oppure spiegare lo schema che c'è dietro e che abbiamo usato per scriverla?
Uhm, a naso direi che ci sono casi in cui lo schema (la "macchina"?) coincide esattamente con l'idea (penso non solo a un certo Xenakis, e per certi versi a Ferneyough, ma anche a un certo Lanza e pure a un certo Agostini). Ma, a parte questi casi in cui la macchina viene messa in primo piano, il punto è che ci sono mille ragioni per arrivare a sfocature nel cammino tra idea e razionalizzazione. Forse una scrittura di getto tende a levare un po' di sporco dal cammino, non garantendo però in alcun modo che l'oggetto messo a fuoco sia un oggetto poi così interessante (ma in questo caso, secondo me, lo è). Quello che spesso chiamiamo "un pezzo di mestiere", dopo tutto, non è una serie di lenti lucidissime puntate su un oggetto di per sé trascurabile?
RispondiEliminaO forse è altrettanto sostenibile che il lavoro razionale sia un lavoro di pulizia dell'idea. Questo è quello che dovrebbe essere, secondo me. Però è un'operazione talmente complicata che – mi pare – in molti casi si traduce nell'esatto opposto...
Ciao. L'argomento che toccate e che il pezzo di Pesson permette di affrontare é fondamentale. Il tema della razionalità per un compositore, il riflettere sulle cose, mi fa pensare alla differenza tra calcolare e meditare, e anche a quello che Bach, per quello che ne sappiamo, aveva "formalizzato" del suo comporre: dispositio, elaboratio e decoratio. Sono appassionatissimo di questo trittico di concetti pratici che apre la testa e obbliga la razionalità a seguire il gusto. Forse, avanzo un'ipotesi, la razionalità per un compositore é sapere calcolare quanto basta e soprattutto calcolare lo spazio in cui c'é la libertà e l'istinto. Per me é un pò così. Quando si scrive, la scrittura di per se crea un quadro razionalizzato e il non calcolato diventa calcolato quasi per forza...(forse sono uscito fuori dal seminato)
RispondiEliminaCarissimi innanzitutto tanti complimenti per questo spazio davvero bello che avete creato. Sono un estimatore di questo ciclo di pezzi di Pesson per pianoforte che, quando ho sentito per la prima volta, mi hanno colpito molto per...la freschezza. Sembra quasi un'ossimoro parlare di freschezza di fronte ad un materiale apparentemente così semplice ma io ci vedo proprio un utilizzo estremamente originale e funzionale di elementi molto semplici, il che come dice bene Daniele Ghisi,è un merito. Mi ricorda anche dei pezzi (non ricordo i nomi!) che Gervasoni ha scritto per Corazziari;mi sembra si somiglino per l'utilizzo di materiali asciutti e "pericolosi". Bella discussione!
RispondiEliminaCaro Michele. Grazie. Non conosco il ciclo completo dei brani di Pesson, ma questo pezzo permette di dire qualcosa di interessante in effeti. Come rilevi la sfida della semplicità apparente e complessità delle referenze é un materiale delicato e per questo il brano mi é piaciuto. A presto.
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