Per festeggiare il primo compleanno di /nu/thing, vi propongo una promozione piuttosto particolare.
Si tratta di Usavich, un cartone animato giapponese a brevi puntate (circa un minuto ciascuna) ambientato in Russia che vede come protagonisti due conigli carcerati (almeno nella prima stagione: per chi fosse interessato, il lavoro prosegue per altre quattro stagioni. L'art director è Satoshi Tomioka, lo storyboard è di Aguri Miyazaki, la musica è di Daisuke Ueno.
Ciò che mi attira di Usavich è una cosa, precisissima: il fatto che un lavoro del genere sarebbe piaciuto farlo a me. L'invidia sta nel fatto che l'intera serie è spiccatamente musicale: la maggior parte delle azioni derivano direttamente da un gesto sonoro, oppure ne sono accompagnate indelebilmente. Il prototipo di tutto questo è la danza dei cosacchi di Putin (il coniglio con la maglia a righe bianche e verdi), che diventerà la fibra di tutte quante le stagioni, e che, alla bisogna, i creatori si divertiranno a spogliare, anestetizzare o reinterpretare. L'interesse sta nel cogliere un gesto, unico, elementare, iterativo, ma perfettamente integrato da reggere cinque stagioni di una dozzina di microepisodi l'una.
Siamo prettamente nel campo del connubio musica-immagine, e quindi la scrittura del tempo passa per fisiologie peculiari. Il senso musicale è solo in relazione all'immagine (e oserei dire anche viceversa: l'immagine di Putin danzante ha senso solo in relazione al Kazachok). È un campo in cui "funzionare" e "essere bello" sono essenzialmente sinonimi, e per uno come me, cresciuto cercando di tenere il più possibile separate le due nozioni, è stimolante osservare che ci sono momenti in cui non possono che coincidere.
La noia è un concetto lontano e inoffensivo – e dopotutto se uno è annoiato, poco gli costa aspettare qualche secondo che l'episodio finisca, interrompere, e riprendere un'altra volta. La fruizione è mordi-e-fuggi, come in certe sit-com americane, come per alcuni social network o per alcuni moderni videogame. In Usavich ci possiamo prendere la libertà di saltare episodi, tornare indietro, rivedere, interrompere. Paradossalmente, è l'interattività la componente essenziale di questa disinvoltura.
Oggi mi sorprendo spesso a trasferire questi comportamenti anche in contesti non esattamente pensati in base a un paradigma di fruizione "à la carte”: come ad esempio estrapolare su YouTube un singolo movimento di una sinfonia. Se siamo consci di ciò che stiamo facendo, non credo sia grave: dopotutto questo fa parte di un gioco più grande che è l'adattarsi della musica ai nuovi meccanismi sociali. Suoniamo le Goldberg sul pianoforte; ascoltiamo la Musica per i reali fuochi d'artificio di Händel senza fuochi d'artificio; possiamo comparare in un pomeriggio, ascoltandole l'una dopo l'altra, una lunga serie di versioni del Kyrie dalla Messa di Nostre Dame. Forse la buona musica è quella che sa resistere al cambiare della fruizione?
L'invidia di cui parlavo inizialmente sta, in realtà, anche nel fatto che portare a termine un lavoro come Usavich è divertentissimo. "Divertirsi scrivendo", nel vero senso della parola, non è una delle locuzioni chiave della cosiddetta ""musica colta"" (due virgolette non erano abbastanza). Certamente, ci sono lavori da cui questa sensazione traspare in maniera netta, come i divertimenti mozartiani (giustappunto), o la Ursonate, o la più volte citata Sinfonia, e per qualche ragione alle mie orecchie questi lavori hanno sempre un qualche "valore aggiunto". Sto generalizzando in maniera spicciola e imprecisa: non è vero. Ci sono moltissimi lavori di segno opposto che pesano come macigni nella storia della musica. Ci sono compositori (e sono in maggioranza, credo) che danno il meglio di sé nel tormento emotivo; taluni probabilmente nella piena disperazione. Allora mi dico che forse l'idea di "divertirsi scrivendo" tocca le mie corde perché non credo di essere uno di questi ultimi; o forse perché per buona parte delle avanguardie storiche questo è stato sostanzialmente un argomento tabù. Un tabù, ampiamente rotto, per fortuna, in tempi più recenti, tanto che uno dei migliori ensemble europei si allaccia esplicitamente a questo concetto (e colgo l'occasione per ricordare a chi fosse a Milano mercoledì 6 marzo o a Bologna venerdì 8 marzo che il Divertimento Ensemble suonerà un programma scelto da /nu/thing).
Mi fermo per un attimo. Mi chiedo, onestamente, se io non stia esagerando in maniera grossolana; se per prendere le distanze da una certa visione non stia goffamente scivolando nell'acritico eccesso opposto. Mi chiedo se tutte le sensazioni che ho espresso fino ad ora non si possano ascrivere al novero delle "scorciatoie", in un momento in cui la nostra musica ha non poche difficoltà a uscire dalla cerchia ristretta degli addetti ai lavori (per usare un eufemismo). Cioè se, all'interno di questa visione, non ci sia più nostalgia che utopia (nostalgia per l'effimera età dell'oro di cui Andrea recentemente parlava). Usavich brulica di topoi che condividono l'ammiccante attualità di un mondo iperreferenziale: la brevità degli episodi (la noia è un concetto inoffensivo, appunto), l'idea di sequenza (che fornisce il destro per i giochi di iterazione, variazione, ricomparsa), lo strizzare d'occhio continuo a un immaginario da videogioco (anche in maniera alquanto esplicita), la tripartizione classica e più o meno costante di ogni episodio in ambientazione/battaglia/conclusione.
Con tutte queste premesse, si potrebbe forse dire che quasi ogni musica avrebbe funzionato in questo contesto, e invece non è così. La costruzione musicale degli episodi è minimale, a partire dalla micro-sigla e dal Kazachok: c'è una linea melodica essenziale di sintesi, un groove rumoristico simile alle drum machine di vecchi videogame, un bruitage che diventa costantemente contrappunto ritmico. A proposito di questo bruitage: in ogni serie c'è un episodio costruito unicamente tramite accumulazione e inserimenti di pattern ritmici legati ad azioni reali. Ne capisco il punto, ne vedo il senso: ma non ce ne sarebbe bisogno. La relazione ritmica tra immagine e musica è talmente esplicita ovunque nella serie, che un episodio di questo tipo diventa quasi una didascalia al limite più triviale delle altre (specie quando ripresa nelle stagioni successive). Infine, ma avrei dovuto parlarne molto prima, c'è un utilizzo funzionale e alquanto disinvolto di Bach in quasi tutte le conclusioni degli episodi, il cui fine è al contempo narrativo e umoristico – e poco ci importa se l'arrangiamento può risultare goffo o impacciato. Anche questo rifuggire ai parametri di raffinatezza è una cifra interessante che Usavich condivide con lavori di impronta simile: il punto non è quanto suona bene Bach, il punto è quanto funziona, e il resto sono forse solo elucubrazioni autoreferenziali.
Buon compleanno a nu/thing! E molti complimenti a voi per un'iniziativa culturale che trovo interessante, utile e davvero ben fatta: vi seguo da un po' di tempo e apprezzo molto il sito, sia per la finalità, sia per i contenuti che ha portato a galla. Vi scrivo per una questione che mi si è posta osservando il video e riflettendo sulle parole di Daniele, che introduco con un lungo preambolo (perdonatemi!!!).
RispondiEliminaNon conoscevo Usavich. In effetti fa morire! Oltre al divertimento nel crearlo e nel fruirlo, mi interessa anche per il riferimento alle figure del riso in musica: la comicità, l'umorismo e l'ironia. Mi sembra che il cartone intrecci tutti questi livelli e che una parte di essi, come giustamente rilevato da Daniele, sia demandata alla dimensione musicale. La sparo un po' lì, ma mi sembra che dal punto di vista musicale ci siano tre tipologie di livelli, ossia la capacità di lavorare sui riferimenti culturali attraverso la dimensione allusiva (Bach e il riferimento all'immaginario del videogioco), la capacità di lavorare sui cliché e sui topoi musicali portandoli all'eccesso, defunzionalizzandoli, ironizzandovi, etc, e infine il lavoro sulla dimensione del rimando cinetico, sulla gestualità e sulle sue contraddizioni. Ovviamente a questi si aggiungono anche i livelli determinati dal nesso audiovisivo.
Mi sembra che nella storia della musica ci siano state epoche in cui le figure del riso abbiano avuto una maggiore centralità rispetto ad altre modalità comunicative; soprattutto in forme "multimediali", basate su testi o sulla dimensione teatrale/performativa, dalla villanella alla commedia madrigalesca, dalle commedie musicali all'opera buffa, etc; però ci sono anche molte musiche "pure" espressamente umoristiche: il periodo umoristico di Satie, i Péchés de vieillesse rossiniani, etc, e anche molti accenni umoristici e comici in opere strumentali "serie".
Nella musica del secondo Novecento mi sembra che il campione del divertimento e dell'umorismo in musica sia Kagel, ma ovviamente anche il Ligeti di Aventures e del Grand Macabre, il Satyricon di Maderna o anche moltissimo Kurtag, per non parlare di autori meno strettamente musicali, ma più aperti alla multimedialità, come Diether Schnebel, Nam June Paik, etc.
Le domande che vorrei porvi sono: e negli ultimi anni? Quali forme umoristiche, comiche e ironiche ci sono nella musica d'oggi? E poi, come si può creare umorismo, sfruttando soli mezzi musicali e uscendo sia da un canone, ossia un repertorio di opere, sia da un linguaggio musicale universalmente condivisi tra compositori e fruitori? Rimane il solo livello cinetico/gestuale?
Ad esempio mi sembra che talora Mauro Lanza, in opere come Haxan o Burger Time, si muova benissimo e in maniera molto raffinata nell'interstizio tra serietà e umorismo, ma non saprei descriverne le modalità. Ma forse sbaglio; siamo in un'epoca di serietà/seriosità musicale?
Caro Giacomo, grazie mille per il tuo commento e per gli auguri!
RispondiEliminaIn effetti poni delle domande estremamente puntuali e puntute, rifletterò. In particolare concordo con il tuo dubbio "Rimane il solo livello cinetico/gestuale?"... prima di leggere questa tua domanda stavo pensando ad autori come Simon Steen-Andersen o anche (in parte) Rune Glerup; in generale il nord dell'Europa mi sembra più reattivo, forse perché respirano un'aria in cui la parola gioco non fa paura e giocare non significa essere superficiali. In effetti però, gli autori di cui ti ho fatto i nomi si muovono (ovviamente questa affermazione è del tutto limitata!!!) a livello del gesto interpretativo che diventa puro movimento, forse anche il lavoro di Ann Cleare mostra tracce di questa sensibilità. Lanza è sicuramente un asso, un equilibrista formidabile e trovo che questa sia una delle caratteristiche che determinano la sua cifra stilistica... come fa? è spietato e non affettato, costruisce macchine che ti portano in alto attraverso l'ingranaggio, per poi lasciarti guardare giù dove (visti dall'alto) si diventa buffi mostri o mostruosi buffoni. Molto interessante è Giovanni Bertelli (AMGD, opera presentata nella scorsa edizione della Biennale Musica ma anche un bellissimo lavoro recente dal titolo "Lorem Ipsum"...) veneto anch'egli... chissà se è un caso... c'è poi Francesco Filidei (soprattutto la prima produzione) e in realtà molti altri che ci provano... anche tra i nuthinghiani. Il punto però è forse un altro_ e mi ricollego alla tua ultima domanda_ sarà il caso di sdoganare l'ironia dal ruolo di "simpatica provocazione in un contesto serioso"? e ancora più in generale: è possibile (oggi!) fare i seri con concetti e approcci non necessariamente seriosi (ma anche non necessariamente "simpatici"? Sì. Decisamente. Sì. Credo che sarà l'argomento del mio prossimo post, purtroppo (se qualche padre della composizione contemporanea trova "ammiccante" il lavoro di Kyriakides) ci tocca dire che l'epoca è proprio cambiata.
Per ora comunque parliamo del fantastico Usavich!Grazie Daniele per avercelo fatto scoprire con questo eccezionale post!!!
Ciao Giacomo, grazie per il commento. Hai ragione: l'approccio ironico/satirico è in effetti una chiave di Usavich e in generale un punto di vista che personalmente mi interessa molto. Stavo per lanciare alcuni nomi, ma Marco li ha già citati meglio di me. Anche a me balza immediatamente in primo piano Bertelli (aggiungo anche il work in progress "Missa Sine Domine"), oltre a Glerup, Lanza e al primo Filidei. Per inciso, la descrizione che Marco ha fatto di Lanza è formidabile, la migliore che mi viene in mente, chapeau a tutti e due.
RispondiEliminaAggiungo due riflessioni:
1. Secondo me il discorso è più grande, e non tocca solo l'ironia. L'ironia è tutto sommato un topos abbastanza frequentato; mi piacerebbe invece porre il riflettore sulla leggerezza, che certo ha l'ironia come suo braccio destro, ma che è in generale qualcosa di più grande (e secondo me anche più importante, ma questo è personale).
2. Non del tutto scollegato: mentre leggevo le tue domanda "Negli ultimi anni? Quali forme umoristiche, comiche e ironiche ci sono nella musica d'oggi?", il primissimo nome che ho pensato (Lanza, Bertelli, Glerup e Filidei mi perdoneranno) è Elio e le Storie Tese. Che sono l'emblema di umorismo, comicità e ironia nella musica d'oggi. Aggiungo: nella musica cosiddetta leggera, questo questi argomenti sono stati frequentati abitualmente, da quasi cent'anni; qualche esempio, alla rinfusa: Armstrong e Ella che scherzano sulle pronunce in "Let's call the whole thing off", a quasi tutto Sinatra, ai Doors che sono tra straniamento e ironia in "People are strange", ai Beatles con "Being for the benefit of Mr. Kite". Ma ce ne sono infiniti altri, anche molto più vicini a noi (Elio è probabilmente oggi per me uno dei punti di riferimento, in questo genere di allusioni, in modo sistematico e in tutta la sua discografia).
Giusto per dissipare dubbi, la leggerezza di cui parlavo sopra non è né spensieratezza né per forza "musica leggera" (anzi, in generale non lo è): è intesa come levitas calviniana. Penso a Marcovaldo, penso alle Cosmicomiche. O penso a un'altra sit-com che amo (e che ho dimenticato nell'articolo!): Mad Men. Questi mondi toccano da vicino quello che faccio, e credo siano una chiave di lettura interessante anche per lavori come Usavich.
(…E ora sono curioso di sapere di cosa scriverà Marco lunedì!!)
Dimenticavo: ti poni una domanda giustissima: come si può creare umorismo, sfruttando soli mezzi musicali? Rimane il solo livello cinetico/gestuale? Io credo di sì, livello che, almeno al momento, forse non mi interessa poi così tanto. Credo che ogni altro meccanismo di umorismo e ironia operi su piani metamusicali (ma questo è forse un mio chiodo fisso e ne abbiamo già parlato forse anche troppo?...). Ma forse mi sbaglio...
RispondiElimina(Tra l'altro, direi che al contrario si può creare "leggerezza" anche senza riferimenti metamusicali a repertorio, pratiche o cliché.)
Leggendo di leggerezza e di equilibrismo, mi viene in mente Gérard Pesson ~ Wunderblock Nebenstück II.
RispondiEliminaQui Pesson gioca con la storia (i ritmi, le armonie e i fraseggi di una tonalità classica e direi quasi "rossiniana") e, ovviamente, con le nostre aspettative sulla "musica contemporanea". Gioco di equilibrio delicatissimo, che consiste nel darsi fino a un certo punto, e nel sottrarsi appena prima che... Osservo questo spettacolo col fiato sospeso, chiedendomi "ma ce la farà?", e alla fine applaudo contento.
Certo, qui si tratta precisamente di riferimenti metamusicali a repertorio, pratiche e cliché! Ma anche di un'altra cosa molto importante, e abbastanza sfuggente: la padronanza dei tempi comici. C'è chi nasce con il senso del ritmo (John Belushi), c'è invece ci lavora sopra fino allo sfinimento (Andy Kaufman). Una cosa simile capita anche per i compositori, mi sembra.
PS Congratulazioni a tutti per il concerto /nu/thing!
Carissimi nuthinghiani, innanzitutto davvero molte grazie per i consigli e per gli stimoli. Peraltro ignoravo del tutto la produzione di Steen-Andersen, e non posso che ringraziarvi per avermelo fatto conoscere: è da un giorno che continuo a (ri-) ascoltare suoi lavori!
RispondiEliminaIn effetti trovo il concetto di leggerezza molto interessante, anche se in gran parte mi sfugge, il che lo rende ancora più interessante; se non ricordo male Calvino nel definirlo scivola dal sostantivo verso l’alleggerire, l’azione del togliere peso, che consente di comunicare complessità, molteplicità e profondità in maniera lieve. In tal modo, però, mi sembra che lo relativizzi, rendendolo volatile. In Usavich mi sembra che la leggerezza si crei soprattutto grazie alla commistione dei registri (oltre che dei generi e dei rimandi), sia orizzontale che verticale, nella giustapposizione e nella compresenza; peraltro Elio mi sembra da sempre un maestro di questo artificio. Un artificio molto più difficile da realizzare all’interno di un repertorio in cui l’immaginario del registro alto/sublime, basso, o anche elegiaco e quant’altro, risultano meno definiti senza le solide basi di un canone e un linguaggio universalmente condivisi. O almeno così mi sembra, ma forse mi sbaglio. Peraltro a ben guardare la commistione di registri non è certo condizione sufficiente per la leggerezza: basta anche solo pensare a Mahler! Ma hai assolutamente ragione, il concetto di leggerezza è molto più ampio e profondo, ed è sicuramente interessante anche se personalmente non saprei proprio come definirlo e dunque non avrei idea di quali categorie analitiche si possano adoperare per studiarlo.