"Quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato si
spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa
creatori anche noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una
ricca vecchiaia"
(Cesare Pavese)
Ci sono argomenti che spesso innescano emozioni contrastanti, sensazioni di sdegno mescolato con il turbamento per una generazione allo sbando. La percezione del nostro tempo che si confonde con necessità altre e discutibili. Di mancanze così abissali da generare sintomi di disorientamento al confine con la paura, con l’ansia di perdere il terreno sul quale incamminarsi.
È un timore basato sui fatti
della realtà che ci manipola e ci fa sentire sempre più minuscoli all’interno
di un panorama considerato elitario, autoreferenziale e a forte esclusione. È
un timore vero, a volte tangibile negli atti compiuti da chi ti aspetti possa
agire con un qualche barlume di lucidità, di trasparenza e lungimiranza nelle
scelte. C’è sempre la speranza di un gesto, “dall’alto”, che possa innescare un
cambiamento, una svolta reale, un segnale forte.
Utopia? Non saprei dirvi, ma
gli anni della mia piccola personale esperienza mi suggeriscono che il
cambiamento lo dovremmo dettare noi, che obtorto
collo siamo artefici solitari del nostro disegno di vita. Un destino certo,
reso sempre più tortuoso a causa di un certo tipo di scelte e decisioni che hanno caratterizzato i
decenni precedenti e di cui oggi paghiamo tutte le conseguenze.
Comprendetemi, non c’è rabbia
nelle parole che leggerete e che forse potrebbe trasparire da esse, né alcun
attacco, ma semplicemente una cronaca, magari un po’ dura, nei confronti di un
sistema generale che sta cadendo a pezzi e lentamente implodendo, dove sarebbe
opportuno rimediare prendendo decisioni radicali o improntate almeno sul buon
senso.
Invece ci troviamo spesso a
discutere fra noi su cose che sistematicamente prendono pieghe sbagliate e il
più delle volte disattendono determinate aspettative.
Mi ha fatto molto riflettere
una cosa che Marco ha scritto nel suo post di qualche tempo fa: “I rapporti di
forza che legano queste parti del puzzle hanno creato negli ultimi anni una
macchina di gestione della politica musicale italiana estremamente particolare,
le cui scelte (sempre meno oggetto di discussione aperta) si sono tradotte in
fatti. C'è chi ha partecipato a queste scelte curando per lo più il proprio
interesse, c'è chi l'ha fatto pensando alla difesa del bene pubblico, c'è
infine chi ha scelto di non curarsene.”