Ci sono delle tendenze oggi? Certo, molte e diverse almeno quanto i compositori. Ce ne sono però alcune che toccano più protagonisti della musica di oggi. Per esempio quello che definirei l'utilizzo di gadget vari: oggetti quotidiani, tubi, carillon, oggetti che distaccano e stupiscono. L'effetto è spesso forte; per alcuni ha un risultato ironico, per altri più brutale e lirico. Parto soprattutto dalla mia esperienza in concerto, senza essere esaustivo, e forse sbagliandomi in pieno. Quello che vorrei risultasse sarebbe un confronto sulle questioni sollevate; per esempio, se l'utilizzo di gadget sia semplice ironia educata e divertente che urbanizza le intuizioni più radicali di un Lachnemann, per esempio. A volte ho questo dubbio e a volte non ho voglia di ridere.
I compositori che ho avuto modo di ascoltare sono molto conosciuti: Mauro Lanza, Francesco Filidei, Noriko Baba, Clara Iannotta per citare i più giovani. Mauro Lanza, già ai tempi di Erba nera che cresci segno nero tu vivi, del 1999, era nel suo proprio mondo sonoro. Lanza scrive l'elettronica inventando inaudite percussioni. La cifra è l'esotismo sintetico. Molto sembra cominciare in quegli anni. Francesco Filidei negli stessi anni, per esempio nel 1996 con Toccata, si dirige verso materiali presi direttamente da Guero di Lachenmann. Noriko Baba usa oggetti di ogni sorta; recentemente ho assistito all'esecuzione di un brano per due percussionisti e cantante Nō in cui una miriade di oggetti e timbri creano la sostanza del pezzo. Il brano sembra molto a certi brani recenti di Carola Bauckholt. L'ultima "alla breve" (programma di Radio France che commissiona brani a vari compositori) di Clara Iannotta sviluppa situazioni simili. In Trois sur cinq di Clara Iannotta la cifra è il ritmo e i timbri strani che ricordano Pesson. Queste due caratteristiche accomunano i compositori che ho citato. Un'altra osservazione è l'ispirazione barocca. I titoli sono Barocco, Toccata, Partita, ecc. Lo stile si sviluppa in particolare a Parigi e vede ancora in Gerard Pesson l'interprete più anziano. I brani di Pesson hanno, spessissimo, riferimenti barocco-ironico-esotici e citazioni varie.
Qualche considerazione: tutto ha inizio con Siciliano del Tanzsuite di Lachenmann. L'ibrido tra bruitismo e ritmi congelati dalla storia ha aperto il cammino per una serie di esperimenti sonori. Tuttavia, proprio questa inserzione neoclassica ha anche rassicurato molti, rendendo le cose un po' più facili e accoglienti; si è trattato di una specie di urbanizzazione del Lachenmann più sperimentale. Infatti i brani si sviluppano, spesso, intorno a un nucleo centrale strutturato ritmicamente, che evoca le parti centrali della Chansons madécasses di Ravel: esotismo, orientassimo, africanismo, ecc. Facendo così si elimina il contenuto sovversivo del rumore trasformandolo in un impatto esotico.
I procedimenti di scrittura si assomigliano. Il brani sono costruiti sula varietà degli attacchi, sull'ironia che porta avanti un discorso tipicamente strutturale, quello del distacco dal suono. La sensazione è a volte quella di trovarsi di fronte a un panorama sonoro frammentato in sé e per sé, senza che si entri nel flusso addomesticandolo con moduli ritmici. Manca la vibrazione. Le forme sembrano spesso tripartite: una prima sezione di esposizione-descrizione della tavolozza, una parte centrale di sviluppo spesso basata su una struttura ritmica, un ritorno finale alla frammentazione. Se prendiamo Macchina per scoppiare i pagliacci, del 2004, di Filidei e ne ascoltiamo la forma, sentiamo il tripartito che c'è già nel Siciliano di Lachenmann: esposizione, descrizione del suono, composizione e sviluppo principalmente ritmico, ritorno allo stadio iniziale. Il problema è che forse il gadget, o l'impatto secco di un suono, non ha abbastanza da dare per costruire forme diverse.
Una osservazione ancora: l'utilizzo di gadget ha un effetto ironico. A volte credo che bisognerebbe entrare nella forma e nel suono in maniera più violenta e decisa, con meno strutturazione e più osservazione ossessiva della vibrazione. L'osservazione ossessiva è per me il tentativo di essere dentro il brano senza mai uscirne. Queste poche e, ammetto, superficiali osservazioni, mi permettono di mettere l'accento su una cosa in particolare. Filidei in certi brani esce dall'ironico e fa sentire la potenza del suono, mi sembra sempre di più negli ultimi brani. Lanza ha un suo cammino ormai decennale che permette di comprenderne le sue scelte. Però il gadget a volte resta, e tra le generazioni più giovani è diventato un punto comune quasi scontato: lo straniamento sembra più un'attitudine che un nucleo espressivo. Insomma, a volte ho l'impressione che l'utilizzo di gadget sia regressivo. Ma resta un'opinione personale che volevo condividere. Aspetto di sapere dove mi sbaglio!
Caro Eric,
RispondiEliminaho letto con molta attenzione il tuo post, un po’ perché il mio nome compare tra i compositori citati, un po’ perché hai scelto un argomento a me caro. Fatto sta che trovo, a mio umilissimo parere, molto debole e superficiale (e qui ti cito) tutto il discorso.
‘I procedimenti di scrittura si assomigliano. Il brani sono costruiti sula varietà degli attacchi, sull'ironia che porta avanti un discorso tipicamente strutturale, quello del distacco dal suono. La sensazione è a volte quella di trovarsi di fronte a un panorama sonoro frammentato in sé e per sé, senza che si entri nel flusso addomesticandolo con moduli ritmici. Manca la vibrazione.’
Come si fa a parlare di un ‘distacco dal suono’ se invece l’obiettivo è proprio quello di poter entrare, quasi ficamente nel suono?
Intanto a volte è proprio la frammentazione che si cerca, però non puoi davvero generalizzare. Stai parlando specificatamente dei singoli pezzi citati o della sensazione che hai ascoltando pezzi con gadget? Perché sinceramente, se ti ascolti 'Ballata' di Filidei o anche 'D’après' della sottoscritta, io questa frammentazione proprio non la sento. Poi ‘la vibrazione’ … mah!
Dal 2 al 9 Settembre 2013 sono stata al Gaudeamus, e dato che si festeggiava il 300° anniversario di uno strano gemellaggio tra Olanda e Russia, ho avuto modo di ascoltare almeno 20 pezzi della nuova generazione russa.
Tutti avevano in comune l’esclusivo uso di ‘gadget’ (come li chiami tu!). Quello che ho notato, anche parlando con loro, è che si è alla disperata ricerca dell’originalità. Il problema però è che loro non si sono neanche chiesti come gestire ‘originalmente’ (immagina tante virgolette) il suono di uno strumento classico nel XXI secolo, ma hanno semplicemente evitato il problema non usando strumenti.
Quello che a me, personalmente, disturba non è l’uso dei gadget in sé, ma l’idea che tanti bei suoni messi uno dopo l’altro possano creare un discorso musicale — e qui, giusto per compensare il mio ‘sparlare’, cito due giovani nomi che si distinguono dalle mie osservazioni, e che anzi, lavorano davvero all’interno del suono: Dmitri Kourliandski e il giovanissimo Alexander Khubeev.
Ora, mi sentivo in dovere di scrivere due righe in risposta a questo post. A me piace di più parlare a voce, quindi magari ne riparleremo al concerto del 26 Ottobre qui a Berlino, dove in programma, oltre al tuo nuovo pezzo, ci sarà anche il mio ‘3 sur 5 alla Pesson'!
Ciao Eric, sono d'accordo su buona parte delle riflessioni, non su tutto. In molti casi, per i compositori che citi, l'obiettivo è quasi il contrario del gadget - vedi "Le nubi non scoppiano per il peso" di Mauro Lanza, dove la macchina-delle-goccie è un tentativo, che trovo molto riuscito, di togliere l'epidermicità al gadget, e di trasformarlo in strumento.
RispondiEliminaAlla fine per i buoni compositori (e tutti quelli che citi secondo me lo sono) il nocciolo della faccenda sta al di là del gadget, che diventa un simulacro, talvolta un lasciapassare, talvolta un tabù da irridere. Però il problema che sollevi è vivo, attuale e (relativamente) recente (almeno in queste proporzioni). Un aspetto molto interessante di quello che dici è il collegamento con un certo concetto di "barocco". Nei termini generali in cui poni la questione, non ci avevo mai pensato; ma effettivamente è un modo, trovo, abbastanza acuto di vedere la faccenda. Incidentalmente ben pochi di noi sono completamente immuni alle influenze di questo "gadgeting" (e di questo "barocco"?) - certamente io non sono tra gli immuni. Come tante mode, se non usata con acume e gusto diventa una deriva. (Ma tra tante derive, mettiamola così, almeno questa può essere divertente? Beh, ripensandoci può pure anche irritante a volte…).
Che cosa è gadget e che cosa non lo è? Il gadget è meta-musicale per eccellenza; in un certo senso, l'antitesi del "gadget" è lo "strumento", in senso lato. E il confine tra i due è estremamente sfumato: quanti "gadget" sono diventati "strumenti" (intendo in questa accezione allargata: penso a ebow, sordine di metallo, superball, bottleneck…), e talvolta gli strumenti possono diventare gadget (penso a un certo uso delle armoniche a bocca, o della celesta). Eric, il nocciolo mi sembra nella tua frase: "Facendo così si elimina il contenuto sovversivo del rumore trasformandolo in timbro", mi pare questo il senso di un certo gadgeting. E mi sembra una spinta positiva e propositiva, un aspetto generatore.
Sono d'accordo su ciò che dici, Clara - ad esempio trovo che "Ballata", che citi, e che avevamo promosso su questo blog, se non sbaglio come primissimo post, sia completamente esente da gadget. L'unica cosa che non condivido è la tua considerazione: "Il problema però è che loro non si sono neanche chiesti come gestire ‘originalmente’ (immagina tante virgolette) il suono di uno strumento classico nel XXI secolo, ma hanno semplicemente evitato il problema non usando strumenti". A primo acchito mi verrebbe da dire che, più che evitare il problema, ne sono andati quasi al nocciolo. Anche io sento che la strada che Lachenmann traccia, e che più o meno tutti noi ci troviamo ad affiancare, chi per brevi chi per lunghi tratti, è una strada che lascia sempre accanto a sé la strada più ascosa della nuova liuteria, di trasformare l'esplorazione in modificazione radicale. Io non ne sono e non ne sarei capace; però ne sono affascinato (e allora tanto vale sia una nuova liuteria "mista", acustico-elettronica, cui forse accennavamo in qualche altra discussione su questo blog). Il senso potrebbe essere: rovesciare il lavoro radicale sul suono (e non solo sul timbro) con objets trouvés, e saper invece lavorare radicalmente gli objets trouvés in vista della produzione del suono.
Grazie per il post Eric, per me il tuo intervento ha ha principalmente il merito di aver fatto intervenire Clara. Non nego che il tema è interessante, ma non ne condivido quasi nulla, dal nome usato per identificare indiscriminatamente oggetti eterodossi fino a 60-70 anni fa: "gadget", al legame a mio avviso forzato con esperienze, epoche, compositori, sensi (nota interessante è il richiamo sul barocco... ma a mio avviso... se lo si vuol far passare da pratiche di "toy instruments"... si fa un gigantesco torto a menti intelligenti che scrivono musica che aspirerebbe a qualche riflessione in più, Bulfon non fa uso di fischietti o armoniche ma a mio avviso è un autore da considerare se si accenna al barocco che c'è in noi [capitolo gigantesco...tbc.]). Da wikipedia: "Un gadget è un oggetto poco funzionale, quasi sempre inutile, ma che attrae l'attenzione per il suo aspetto bizzarro, colorato e simpatico. " . A me sembra che i lavori-autori citati facciano un lavoro opposto al "poco funzionale" citato da Wiki, se pensiamo da non musicisti, mi verrebbe da dire che la sensazione richiamata dalla parola gadget si palesi piuttosto nella più diffusa scrittura orchestrale contemporanea (tanti strumenti colorati tutti insieme che colpiscono l'attenzione per l'impatto massa-impasto più che per una "utilità" [pessima parola?] di condivisione estetica).
RispondiEliminaParliamo qui spesso di crisi del punto di osservazione del musicale basato sul linguaggio, però devo confidarti che il leggere "distacco dal suono - mancanza di vibrazione - necessità di ossessione per entrare in un brano" insomma, mi sembrano frasi che richiamano ad una retorica che in realtà molti di noi hanno la necessità di schivare, magari non tu, magari nemmeno io ma qualcuno sì. L'ironia è un mezzo potente che secondo me è stato felicemente sdoganato grazie a questi autori (per me prima di Lanza, l'ironico e l'ilare di sostanza erano parole che avrei potuto riferire a un certo Donatoni ma ...scavando... scavando...). C'è chi la retorica la uccide rendendola "iper" (saturazionisti?) c'è chi gioca e crea maschere di plastica raffiguranti mostri barocchi, con ciò mi sembra assurdo voler catalogare, e ancora più assurdo mi sembra farlo sulla base di strumenti: per me Raphael Cendo non scrive come Yann Robin o Bedrossian, Lanza non scrive come Iannotta e come Filidei... insomma... reclamo uno sforzo verso il non appagamento di pulsioni da enciclopedia per ragazzi (se stiamo ai materiali... Berio è uguale a Fedele, Fedele è uguale a Francesconi... tutti sono uguali a Bianchi... ma ci rendiamo conto?!) Poi si può parlare di mode... ma queste sono ovunque, ricordo un Darmstadt 2008 dominato da megafoni (io feci la mia parte), ricordo la fase di choc da suono saturato mentre ora lo stiamo finalmente digerendo. Gli slanci creativi forti passano comunque, a prescindere dalle nature sonore usate, questo argomento di distinzione lo eviterei fortemente per la categoria "giovani", mi sembra un torto gratuito. Mescolare trentenni e quarantenni non lo trovo giusto, i trentenni che bazzicano Parigi partono da Lanza e Filidei, non sposano le loro estetiche per un fischietto; io uso armoniche a bocca... l'ho visto per la prima volta in Romitelli, non mi piacerebbe se qualcuno mi mettesse sulle spalle il senso delle armoniche romitelliano ogni volta che ne uso una. Io non leggo Iannotta come leggo Filidei e non leggo Khubeev come leggo Kourliandski, se trovo dei punti "sonori" di contatto, beh sono curioso di vedere che frutti daranno...
In ogni caso... Eric... credo che tu stessi cercando queste reazioni... che come vedi non mancano e quindi grazie per il post!
Ciao. Cerco di proseguire il dibattito. In primis ho fatto i nomi di compositori che nella loro diversità e unicità stimo molto. Tutti. Ogni brano in più ha la sua storia, qualcuno lo preferisco altri meno. Fa parte del divertimento. Parlando di Gadget volevo portare l'attenzione su un tema annoso, forse secolare, e cioè l'accidentale in un brano, quello che alla fine sentiamo di potere togliere; l'altro tema per me è il fatto che certi suoni, estremamente nuovi, non implicano sostanziali cambiamenti formali. Insomma, il post è il risultato di riflessioni a latere che ho da tempo sull'attitudine compositiva, sullo stile e sulla firma, che a volte prevale nel senso della maniera. Il Gadget è appunto poco funzionale e simpatico. Molti suoni sono buoni in registrazione e pessimi in concerto. Molti gadget invece sono funzionali a un discorso pubblico sulla musica, al "principio di individuazione" che è poco funzionale al discorso musicale ma più al discorso visibilità, che Marco ha spesso toccato bene. Mi pongo veramente la questione sull'utilizzo di """"nuovi""" suoni e a volte ho l'impressione che sia un allontanarsi dal problema principale, che è il confronto serrato tra il compositore, il suono e il brano. A volte mi sembra che lo "strumento in più" sia più questione di firma che di vera necessita; un passaggio che spesso non va al cuore del problema. Altrimenti vorrei che si andasse nella costruzione di nuovi strumenti, nell'esecuzione degli stessi e nell'improvvisazione (come per esempio Laporte) ma li il percorso compositivo professionale diventa difficile, la carriera anche, per ragioni pratiche. Quindi si ripiega su simil strumenti trasportabili e concettualmente simpatici. Kourliandski lo conosciamo. Va bene, ma anche li a volte il dubbio del prevalere della firma sul discorso ce l'ho, così come anche su Lachenmann: alla fine siamo tutti d'accordo che l'aspetto meno interessante della sua musica sia la "musique concrète intrumentale", e che tutta la ricchezza del suo discorso sia nella varietà della sua forma. Il discorso è ampio: anche Grisey diceva di non essere spettrale, ma alla fine gli faceva comodo. Questi sono i dubbi, tra gli altri, che hanno accompagnato il post, in cui cito degli esempi che avevo sotto mano, ma che, chiaramente, non coprono tutto il problema, e forse non lo esemplificano neanche così tanto.
RispondiEliminaCiao a tutti e complimenti per il bellissimo blog, che frequento silenziosamente (un po' con l'attitudine del guardone, che gode e tace). Stavolta, visto che sono parte in causa e visto che il tema mi è caro, rompo il tabù e lascio un commento, ma solo per linkarvi un articolo che ho scritto esattamente un anno fa, che tratta più o meno gli argomenti evocati da Eric. Spero possa aggiungere spunti alla riflessione (anche se la prospettiva dell'articolo è davvero personale, non saprei (né mi interessa) generalizzare o indicare tendenze).
RispondiEliminaEccolo qui :
https://dl.dropboxusercontent.com/u/4896746/lanza-posizionen.pdf
(è in francese, ma è apparso in tedesco su "Posizionen")
Mauro
caro mauro, lo scritto condiviso fa luce su molti punti - dalle citazioni più o meno dirette di rabelais, dalle quali, oltre a marx, foucault, bakhtin, bosch etc., mi sarei aspettata la comparsa dell' ubu di jarry - che spesso vengono confusi con gli esotismi degli strumenti giocattolo (o eterodossi). il punto in cui si dice: "cette économie forcée de moyens m’a contraint à me concentrer sur les problématiques suivantes qui, à mon sens, constituent l’échine de la composition
Eliminamusicale: la gestion du temps, la forme et le rythme" mi ha rimandato al passo in cui adorno (rivisitando la sua "philosophie der neue musik" nei "musikalishe schriften I-III" afferma: "[...] sarebbe opportuno chiedersi che cosa - dal punto di vista dell'oggettività compositiva e non di quello della psicologia privata - mosse stravinskij a scegliere condizioni di lavoro restrittive e a lavorare come sotto l'effetto di un handicap senza speranza". naturalmente il passo è da ribaltare in positivo. saluti, dario agazzi
Grazie del commento Dario. Il passo di Adorno è illuminante !
EliminaTanti Saluti. Mauro
caro eric, la parola "gadget" non è davvero una bella parola. gli accostamenti descritti nel post appaiono molto azzardati. la linea che da lachenmann giungerebbe sino agli autori citati, dei quali alcuni intervenuti, mi pare più frastagliata che non retta. hespos, per certi versi ben più radicale del pressoché coetaneo ed ex-amico lachenmann, si fece costruire appositamente degli strumenti eterodossi ("gadget", per usare il tuo termine, che mi mostrò a casa sua) non sempre con intenti ironici quanto grotteschi (una linea seguita anche da schenker ["missa negra", ad esempio], nell'alveo di una contestazione politica cara anche allo stesso lachenmann). io non farei principiare tutto da lachenmann, comunque (dove mettiamo, ad esempio, "glossolalie 61" di schnebel?). non capisco cosa tu intenda esattamente con la frase: "a volte credo che bisognerebbe entrare nella forma e nel suono in maniera più violenta e decisa, con meno strutturazione e più osservazione ossessiva della vibrazione." ad ogni modo, questo "gadget" non appare tanto regressivo quanto manieristico, se appunto alla ricerca dell' "originalità" (cosa impossibile come l'invenzione a tutti i costi). p.s. un certo donatoni ironico? non so. un'ironia della disperazione più assoluta, come nel miglior beckett. cari saluti, dario agazzi
RispondiElimina