"La strada dell’arte totale è lunga e tormentata…è il punto più alto della pratica scritturale e della stessa riflessione dell’avanguardia e dei suoi labirintici percorsi: il luogo in cui confluiscono l’anima e la forma, il linguaggio e la vita, il silenzio e la parola, l’attesa e la speranza…L’arte è chiamata a rigenerare una condizione d’esistenza frammentata e dispersa, dolorosa. La poesia, il teatro, il Totaltheater, l’architettura, la pittura dovranno interpretare, rinnovandosi nel profondo, questo compito che è piuttosto una missione. Così spetterà proprio al teatro e all’architettura di guidare – diventandone modelli – gli altri linguaggi, la poesia, la musica, la pittura, la danza”
(A. Trimarco - Opera d’arte totale )
Riprendo il filo del racconto da dove lo avevo lasciato. Musica e teatro, un rapporto, checché se ne dica, quanto mai intenso e vitale.
Un legame che nasce dalle tensioni, dalle ricerche, dalle esperienze del nostro vissuto e sta ormai radicandosi con sempre più forza anche nel linguaggio musicale, anche non espressamente scritto a scopi di rappresentazione.
Le moderne prospettive di esplorazione, filtrate attraverso le molteplici sfaccettature della fruizione e della sensibilità odierna, sono venute a determinarsi tramite la costante implicazione di differenti ma contigue discipline, come ad esempio le nuove tecnologie audio/video, le arti figurative, la scenotecnica e il conseguente ammodernamento di tutti i segni fisici e linguistici degli apparati drammaturgici. Ciò ha avviato un processo di riconfigurazione concettuale e intellettiva, oltre che di discussione, sul fine ultimo e sulle potenzialità del teatro musicale, allargando consequenzialmente il discorso a questioni di fondo, per lunghi tratti rimaste pressoché insolute e relative ad una pesante eredità, concernenti il lascito effettivo delle esperienze del ‘900 storico, i cui molti esiti sono risultati particolarmente fruttuosi per la rinascita del genere.
Nelle generazioni di compositori immediatamente precedenti alle nostre veniva posto al centro del dibattito il problema della comunicazione teatrale, basata sulla concezione e ideazione di uno spazio visivo estremamente complesso, in funzione di drammi non raccontati ma solo tracciati in parte o intuibili nel decorso stesso della storia, molto spesso basati più sulla fantasia intima e personale dello spettatore che su quella della medesima opera.
Nelle esplorazioni delle nostre generazioni vi è stata sempre di più una presa di coscienza della componente teatrale/visuale in funzione della storia, questo senz’altro grazie alle molteplici possibilità offerte dai mezzi moderni; in questo senso la consapevolezza degli autori a noi contemporanei risiede, molto probabilmente, nella non riduzione della componente “spettacolo” a sola e cruda sperimentazione di linguaggi e strumenti espressivi condensati in una sorta di “teatro-catalogo” di effetti spettacolari, quanto piuttosto nell’impiego, sempre più funzionale e autonomo, di tutti gli artifici conosciuti e quelli in fase di scoperta, creando i presupposti per una proiezione massimale delle possibilità immaginifiche dell’apparato teatrale, il che consente anche, secondo me, un risveglio educativo del fruitore, trovandosi egli stesso spettatore capace di interagire, e reagire, in modo creativo e consapevole nei confronti dell’opera.