Acrobata (s. m.) è chi cammina tutto in punta (di piedi): (tale, almeno, è per l'etimo): poi procede, però, naturalmente, tutto in punta di dita, anche, di mani (e in punta di forchetta): e sopra la sua testa: (e sopra i chiodi, fachireggiando e funamboleggiando): (e sopra i fili tesi tra due case, per le strade e le piazze: dentro un trapezio, in un circo, in un cerchio, sopra un cielo): volteggia su due canne, flessibilmente, infilzate in due bicchieri, in due scarpe, in due guanti: (dentro il fumo, nell'aria): pneumatico e somatico, dentro il vuoto pneumatico: (dentro pneumatici plastici, dentro botti e bottiglie): e salta mortalmente: e mortalmente (e moralmente) ruota: (così mi ruoto e salto, io nel tuo cuore):
(E. Sanguineti)
Ascolto In Punta per cinque strumenti – flauto, clarinetto, pianoforte, violino e violoncello – di Zeno Baldi, e cerco di mettere a fuoco alcuni aspetti che mi colpiscono.
Comincio dalla levità, o dalla leggerezza che mi suscita: è un senso che nasce dalla consapevolezza del peso dei suoni, dalla ricerca dell'equilibrio nelle loro relazioni. Zeno sa e sente che il suono ha una massa, e che suoni diversi hanno masse differenti. Così Zeno regola la stadera del tempo e appoggia ogni suono sul piatto, guardando che l'ago oscilli attorno allo zero, anche compiendo scarti e movimenti notevoli. Come l'equilibrista gioca con la paura della caduta, allo stesso modo il compositore ci trasmette questa costante sensazione: a tratti il suono si flette belando, oscilla per troppa pressione dell'arco, passeggia pericolosamente sull'orlo, come alludendo non solo alla citazione di Sanguineti, che ho ritrovato nella partitura, ma anche al funambolo che quarant'anni fa camminò sulla corda tesa di nascosto fra le torri gemelle.
I suoni oscillano, e nell'osservazione del loro moto perdiamo il senso della direzione. Non sappiamo dire che ore siano guardando l'oscillazione del pendolo, abbiamo bisogno di un contatore che lo faccia per noi, e che trasmetta il suo risultato alle lancette del quadrante. Ecco, Zeno ci dice che guardare sempre l'ora non è poi così interessante, ma che possiamo anche ipnotizzarci per un po' ascoltando l'avanti-e-indietro dei colpi d'arco in crescendo, oppure con alcune semplici note del clarinetto, e via dicendo. Forse potremmo anche dimenticarci per sempre del quadrante, ma il compositore pone un limite al mesmerismo, e così distogliamo lo sguardo per affondare in un'altra ipnosi.
In questa musica la perdita dei riferimenti cronometrici – e questo è il secondo elemento che mi ha colpito – ci fa sentire come in una sacca, come in uno spazio delimitato da una membrana semipermeabile, nel quale galleggiamo, ma che quando lascia filtrare il ticchettio del meccanismo esterno ci fa ridestare, in attesa della nostra beata ed ineluttabile perdita di coscienza.
In musica il Non-sapere-dove-siamo, a mio personale avviso, è una rara salienza. Sono quei momenti nei quali si apre un ventaglio di possibilità inesplorate o da esplorare, dove tantissime cose possono essere possibili. Alcuni lo fanno in fette di tempo cortissime, altri, come credo faccia Zeno, in zone più estese. Nell'In punta gettiamo uno primo sguardo – uditivo – sulla calibrata perdita del senso del luogo secondo Zeno. Sono curioso di sapere come maturerà questa cosa nei pezzi che sta realizzando o che realizzerà – e anche se di tutto quello di cui ho discusso ci sia o meno un riscontro.
(...Intanto è bene procedere come acrobati, sul cavo e col bilanciere, senza temere di gettare uno sguardo in basso...)
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