lunedì 16 giugno 2014

Altri luoghi

di Filippo Perocco

Come funziona la relazione tra il pensare la musica sulla carta e cercare di metterla in azione in un progetto più largo? Quanto di cosciente e di incosciente c'è ne L'arsenale? Come coabitano l'essere compositore, direttore e direttore artistico? Quanto le opinioni del pubblico possono influenzare il gesto compositivo ed organizzativo? In che modo si è radicata l'esperienza de L'arsenale nella città e come si è estesa ad altre realtà e altre città?

Queste le sollecitazioni che ho ricevuto dal collettivo /nu/thing per questo post. Non è per niente facile rispondere ed indagare tutto questo. Non è facile parlare di sé stessi. Né tantomeno farlo in questo luogo, soprattutto se si latita intenzionalmente, o meglio, se si frequenta con cautela il territorio dei social network e dei dibattiti collettivi. Ma, visto che mi è stato chiesto (bella scusa), ci provo ed evito un'aprioristica organicità nel farlo, lasciando spazio ad eventuali digressioni, sbandamenti, distrazioni, crepe e macerie; un approccio con i detriti tanto frequentato anche nella mia attività compositiva.

Parto parlando de L'arsenale, una realtà che si è sviluppata come estensione del fatto compositivo. L'arsenale è nato nel 2005 (quasi dieci anni fa) attraverso l'incontro di vari musicisti (esecutori e compositori) provenienti da esperienze diverse, con l'obiettivo di esplorare i vari scenari della nuova musica. Nel 2005 molti componenti dell'ensemble erano a tutti gli effetti giovanissimi esecutori; alcuni di essi avevano appena compiuto 14 anni.

In questo senso tutto è scaturito grazie all'istintività e all'incoscienza tipiche delle operazioni guidate da una propulsiva necessità, ma allo stesso tempo dalla consapevolezza, dallo studio e dalla pratica. Nei primi anni l'ensemble ha esplorato varie soluzioni di organico attraverso una fertile flessibilità, mantenendo chiara la volontà di ricercare combinazioni atipiche e bizzarre. Il primo concerto autoprodotto ha visto la creazione di 9 nuovi lavori di altrettanti giovani compositori (3 dei quali componenti del gruppo); mai visto l'Auditorium di Santa Caterina di Treviso così affollato. Quello è stato un segnale forte ed importante per le istituzioni locali. Hanno visto che una realtà nuova e giovane ha saputo imporsi con le proprie forze e convinzioni.

Dopo anni riconosco una qualità, una caratteristica alla quale non potrei mai rinunciare. In noi c'è la consapevolezza, e soprattutto la volontà, di volerci proporre senza quelle patinature, senza quelle muscolarità forzate tipiche (soprattutto) del sistema, o meglio quelle che vengono viste come necessarie credenziali per vivere nel mondo della musica; e quello della musica di oggi non fa eccezione. I nostri territori sono quelli in cui il fattore umano incontra quello artistico; dove la musica è "ciò che siamo e non solo quel che facciamo"; dove, in primis, diventa fondamentale ed essenziale la persona.

C'è il desiderio di convivere con un approccio ruvido ed evitare le superfici lisce; ossia le situazioni (passatemi il termine) sgamabili. Non parlo solo di estetica ma soprattutto di modo con cui ci si propone. Evitare quell'attitudine, a mio avviso dilagante, che rischia di appiattire il confronto tra i musicisti, tra chi fa musica e chi la ascolta. Evitare le etichette compositive e anche performative, ossia quegli atteggiamenti da inseguire a tutti i costi, perché fanno "molto contemporaneo". Uno specchietto per le allodole.

Con questo doping, tutto si deteriora. In un mondo di facebookiana tendenza, dove ci si sollazza in un perfetto stile teenage-soap (certo: ci siamo tutti dentro, chi più chi meno, chi in maniera più elegante di altri), tutto diventa cool, o figata per noi italiani. I nostri sensi sono sempre tesi in un continuo stato thrilled-proud-excited. I nostri volti sempre con la mascella larga. Spesso l'invenzione pubblicitaria assume connotati a dir poco imbarazzanti; slogan che vogliono essere easy, simpatici, rilassati, alternativi ma che in effetti fanno tenerezza per la loro sgamabilità! Ancora una volta!

Certamente, una questione di gusti, scusate. Ma non vi sembra un falso autoerotismo? Ma è questo il nostro giardino? Forse, traducendo questa divagazione, potrei dire: perché alleggerire? perché nascondere le ferite e le fragilità? perché anabolizzare?

(Mi sono distratto. In fin dei conti quelle domande, quelle che mi sono state fatte da /nu/thing, sono degli assist imperdibili. Anzi le sto dribblando. Che confusione. Chiudo la parentesi, lasciando al lettore le interpretazioni dei passaggi volutamente criptati; ma neanche tanto.)

Stavo dicendo, il nostro tentativo, quello de L'arsenale, è anche quello di riportare la persona al centro del discorso, non l'automa, non il consumatore di tendenze, non l'atleta. Mi sono creato nuovamente un assist per ribadire, con altre parole, che nella mia esperienza di compositore, co-organizzatore ed esecutore trovo sia importante e necessaria questa forma di nudismo e di schiettezza. Anche così, a mio modo di vedere, l'esperienza musicale, abbandonandosi al rischio e all'incertezza (da non confondersi con incapacità), riesce a godere, riesce a vibrare. Solo così posso dire di essere thrilled-proud-excited.

Riprendendo il sentiero, L'arsenale, dal 2009, organizza il proprio festival, all'interno del quale si sviluppano altre attività quali i workshop o il concorso di composizione (la Chiamata alle Musiche). Continuiamo a portare a Treviso giovani interpreti e compositori da tutto il mondo. Non mancano le collaborazioni con ensemble ed interpreti affermati, un numero fortemente importante di prime esecuzioni e un grande sforzo organizzativo.

Tra i vari aspetti che abbiamo perseguito nei primi anni, c'è quello dell'esplorazione di altri luoghi (o dei non luoghi) del far musica. È per noi fondamentale notare l'affetto, la stima e la curiosità di un pubblico eterogeneo, che coglie con stupore le nostre proposte senza lasciarsi intimorire. Ci sono momenti di grande coinvolgimento; ma anche simpatiche situazioni come quella vivace partecipazione alla nostra Chiamata ai Metronomi in occasione dell'esecuzione di Poème symphonique di G. Ligeti: abbiamo raccolto un numero di adesioni ben superiore a quelle necessarie per poter realizzare il progetto. Più di cento donatori di metronomi provenienti da varie città del triveneto. O le Matinée, appuntamenti domenicali dove un altro pubblico, diverso da quello serale, accoglie i solisti che noi portiamo a Treviso.

L'arsenale sin dall'inizio, come detto, ha avuto un ottimo rapporto e una positiva accoglienza da parte delle istituzioni locali. Grazie a questo e anche al fondamentale supporto, negli ultimi anni, di fondazioni estere abbiamo potuto realizzare diversi progetti in collaborazione con diversi artisti di altri Paesi. Abbiamo potuto portare a Treviso altra musica.

Interpretiamo ed accogliamo dunque parte delle esigenze del territorio, mantenendo un costante legame con la nostra città, senza fuggire. Un dare/avere. Nonostante i tempi aridi, secchi, asfissianti, la nostra terra ci aiuta a pesare, valutare ed indagare ciò che siamo. Esperire una parte della propria attività artistico/organizzativa in una piccola città di provincia ha dunque i suoi vantaggi ed ovviamente i suoi limiti. È fondamentale prendere costantemente delle boccate d'aria.

Venendo all'esperienza compositiva, comporre significa per me rinunciare, rifiutare. E mi accorgo che non è mai abbastanza. È importantissimo ricevere stimoli ed entusiasmo ma allo stesso tempo trovo necessario, per il mio modo di essere, evitare le autostrade e i percorsi più ampi. Per poter compiere questo percorso c'è bisogno di tempo ideali; per esempio il tempo come arcata e il tempo come luogo dove lasciar macerare i propri istinti. Il tempo del fatto organizzativo invece deve muoversi su un binario ad alta velocità, soprattutto in Italia, dove si richiede l'abilità di muoversi in periodi e spazi ristretti; siamo costretti a navigare al buio, spesso in apnea. In sostanza siamo dei maghi, dei prestigiatori. Questa compresenza di due velocità in qualche modo mi permette di incontrare improbabili punti di raccordo, spesso stimolanti e ricchi di sorprese. Impaginare un programma da concerto o il cartellone di una stagione è a tutti gli effetti un atto compositivo e creativo. Ogni esperienza contribuisce ad alimentare, modificare, mettere in discussione l'aspetto creativo.

Come ho già detto, nei vari ambiti della mia esperienza musicale trovo sia importante e necessaria una forma di nudismo evitando quella self-confidenza che falsa i sapori, senza confezionare con dell'inutile plastica, da riciclare a piacimento, proponendo un approccio che può invece essere tattile, puerile, epidermico. Ecco che i vari territori del far musica sono espressioni di una stessa voglia che viene condita con sapori e spezie diverse; talvolta contrastanti. La loro convivenza può creare delle tensioni, degli attriti e al tempo stesso aiuta a trovare delle risposte. Nessuna categoria, nessun artificio, nessun esercizio di tonificazione, nessuna sovrastruttura od operazione di bonifica. Preferisco la precarietà di una foglia. Fragilità dunque, non inconsapevolezza; non impreparazione. Schierare la spontaneità, le crepe. Perché rifiutarle se possono diventare delle caratteristiche?

Grazie dunque ai colleghi e amici di /nu/thing per le domande che mi avete fatto e scusate se ho preso altri sentieri. Non ho fatto altro che mettermi in pantaloncini corti in questo caldo inizio d'estate.


2 commenti:

  1. Ho letto il post di Filippo con grande interesse ed ammirazione; è bello sapere che esistono realtà come l’Arsenale anche in Italia, è bello perchè ci si sente meno soli e ai margini. E’ bello sapere che esistono in relazione al proprio territorio e alle proprie radici e che non (s)fuggono e rimangono lì, in loco, a farle crescere quelle radici; e che ci sia ancora la possibilità di realizzare progetti interessanti anche a fronte di scarsità di risorse economiche (sia pubbliche che private), per lo più dirottate su grandi eventi di cui il pubblico, anche nel nostro settore, si dice abbia bisogno (o glielo si faccia credere...). E’ bello che tutto ciò continui nel tempo, a prescindere dal peggiorare della condizione culturale di questa nazione e sapere che il pubblico, se stimolato in maniera adeguata, reagisca e partecipi a proposte interessanti anche se più impegnative. E’ bello sapere che c’è chi ancora ci crede, un atto che ha dell’eroico di questi tempi! Avere consapevolezza e prendersi delle responsabilità denota forza, a mio avviso, capacità di stare in piedi sulle proprie gambe (fragile è colui che ha bisogno di un ‘sistema-stampella’ per reggersi...). Quindi forza e coraggio (che non mi pare che qui manchi)!

    P.s. Complimenti per il blog che seguo sempre con interesse ed attenzione

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  2. Filippo. Grazie per il bel post che ci hai fatto pubblicare. Lo sappiamo. Qui da noi c'é tanta gente brava ma che si conosce poco. Soprattuto sentiamo la mancanza di prospettiva internazionale e siamo sotto, organizzativamente, le nazioni più sviluppate in Europa in questo senso. Però abbiamo l'Arsenale e tante altre realtà che purtroppo crescono nonostante la nostra dirigenza sia spesso cieca, anche nei festival più importanti, in cui ci si fa belli invitando la star internazionale, italiana o meno, e senza porsi il problema di fare crescere qualcuno che merita. Non vorrei generalizzare, non è una regola, ma spesso capita. Ciononostante L'arsenale c'é e anche la musica di Filippo!

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