Dmitri Kourliandski, classe 1976, è ad oggi uno
degli esponenti di spicco della giovane e prolifica scuola russa contemporanea.
La sua musica, caratterizzata e idealizzata attraverso
quello che è stato definito “catastrofismo tecnologico”, raccoglie l’eredità
del movimento costruttivista di matrice russa degli anni ’20.
Quello che mi affascina della sua musica e del suo
pensiero compositivo è il modo di immaginare gli strumentisti e i propri
strumenti considerati come parti inscindibili di un unico corpo, potente e monolitico, spesso congegnato come meccanismo unitario dove farli
suonare (o risuonare) ossessivamente in un
incessante tutti orchestrale.
Secondo quest'ottica, etichettata come “oggettiva”,
l’ascoltatore diviene intimo osservatore dell’opera, in quanto ogni azione o
possibile evoluzione viene in qualche modo annullata dal continuo e incessante
procedere della dimensione temporale e sonora. Tendenzialmente è come sei i
suoi pezzi venissero azionati e spenti da un pulsante, e il brano assumesse le
fattezze di un misterioso marchingegno da osservare, scoprire e scrutare nel
più rigoroso silenzio.