Il post di oggi è una sorta di proposta sotto forma di sfogo; è legato in particolare alla discussione che ho seguito sul web (per quanto possibile) sul "new conceptualism"; avviata a Darmstadt, potrebbe dare il via anche alle nostre latitudini a un dibattito più ampio, se ne saremo capaci. Parto dalla proposta della discussione (che potete trovare qui):
In recent years, the contemporary music scene has witnessed a resurgence of interest in conceptual music. Proponents of this work argue against the importance of musical material progress (Materialfortschritt) in favor of "a music of this-worldliness" (Musik der Diesseitigkeit), "a music of a content-aesthetical turn" (Musik einer gehalts-ästhetischen Wende), or "a music of the digital revolution" (Musik der digitalen Revolution). Conceptual approaches to composition challenge conventional notions of authorship, craft, content and prompt a reconsideration of the role of subjectivity, the value of virtuosity, the function of media, and the relationship of contemporary music to broader cultural fields such as economics, politics, or visual arts.
What are the implications of this conceptual preference? Where has it come from, where will it lead us, and why does it hold such sway and influence at this precise historical moment?
In this debate we hope to explore issues of authorship, content, and cultural connection from both conceptual and non-conceptual orientations.
Possiamo ancora oggi porre una questione che riguarda la crisi dell’autore, dell’artigianato, del contenuto? Se tutto ciò è stato fatto decenni fa, può l’avanguardia oggi ripiegare su tali questioni, senza invece cercare veramente il nuovo in qualcosa di sconosciuto? Una tale discussione ha il sapore di vecchio, vintage e forse malinconico. Chissà. Non ho risposte e forse sono dalla parte del torto. Sarebbe facile dire che oggi il difficile è ricostruire, ex novo, un’idea di opera che viva nell’oggi e un rapporto del compositore con la società che non si basi su un presupposto e ideologico senso di superiorità morale che a volte l’arte contemporanea fa vivere al suo pubblico. Non lo dico allora. Però leggendo e pensando a tutto ciò, ho sentito il bisogno di pensare senza categorie, di andare sul pezzo e sentire che cosa una musica ha da dirmi, e ovviamente, se non facciamo finta, sapere finalmente che ogni musica è concettuale, e quindi deve essere valutata per quello che dice; e anche che ogni musica è, in senso più o meno lato, suono, per quanto la cosa ci renda la vita molto più difficile.
Harry Lehmann ha scritto un articolo che sarà pubblicato presto sul tema. Leggendolo, e, ammetto, anche fantasticandolo, ho pensato che parliamo poco di che cosa un brano dica, facendoci spesso portare dal come e dall’etichetta.
Lancio questo messaggio in bottiglia.
Ecco il link dell’articolo di Lehmann…
…ed ecco la mia proposta sotto forma di sfogo:
Tengo alla nozione di opera e di autore, per quanto fittive, false e costruite esse siano. Valutatemi quindi sul contenuto della musica, non sul materiale, o su una tendenza che si potrebbe intuire da qualche parte. Secondo me ogni materiale è legato, strettamente, al contenuto del brano; non esiste per me una scelta del materiale che non riveli il contenuto profondo di un brano, la filosofia e la visione del mondo di un compositore, che sia schiettamente concettuale, o meno. Chiedo a tutti, critici, compositori, organizzatori ecc. di valutare la musica secondo quello che dice e non solo per come lo dice. Se penso al tentativo di scovare tendenze ho la sensazione che si cerchi di chiudere quello che non si può chiudere. Mi viene in mente che si pensa a dei procedimenti, dei punti comuni, a pratiche che limano l’individualità di un’opera riducendo il dibattito a un materiale astratto o a concetti vaghi, come se non tutta la musica fosse, in fondo, e sempre, a gradi diversi, concettuale. Vorrei invitare a pensare qualcosa di semplice e difficile: le opere hanno un contenuto, parlano di qualcosa, e sarebbe cosa giusta capire che cosa le opere dicono e che il materiale usato dipenda da esso. Tutti siamo diversi e le opere dovrebbe tutte esserlo, profondamente. Voglio capire che cosa c’è dietro i titoli. Voglio dire che c’è anche un pensiero, che vorrei capire e con il quale vorrei confrontarmi con i miei argomenti. Come compositori potremmo agire di più sul nostro piccolo mondo almeno, e essere meno in balia di organizzatori venditori che utilizzano le opere per costruire i loro marchi, o compositori che usano marchi per costruire le loro opere (chiamatele in un altro modo se il termine dà fastidio). Avremmo più controllo e coscienza, e soprattutto renderemmo la vita più difficile a chi cerca di ridurre e semplificare.
Non posso altro che concordare e forse ricordare anche la posizione estrema del compositore inglese Trevor Wishart: "In musica tutto quello che non posso sentire non eiste". L'amore per la musica di ogni foggia non mi fa sposare in pieno questa tesi ma mi fa comunque riflettere, Noto un sempre crescente accostamento tra la musica e certe posizioni/azioni dell'arte visiva, così come il fatto che tanti artisti di varie discipline extra-musicali si avvicinano alla "composizione" del suono. In tal senso l'emergere di un nuovo concettualismo appare anche naturale. Non vorrei però che si appoggiasse su una sorta di assenza di consapevolezza, forse anche storica, ma soprattutto sui modi di manipolare e organizzare suoni. L'aspetto molto positivo è che si torna a discutere del fare musica: noi musicisti prendiamoci il diritto di condurre il gioco.
RispondiEliminaCaro Francesco. Sono d'accordo con te. Dobbiamo avere distanza critica e capacità di stare nella musica che ci è proposta; è un bene che Darmstadt solleciti ancora dibattiti e discussioni, riempiendo così un vuoto e facendo la sua parte di stimolo. A noi continuare a dibatterne il più possibile e aprire lo spazio alle diverse prospettive che si sono. Dovremmo potere condurre il gioco e imparare a dialogare con le altre arti per i nostri contenuti e non solo per le nostre tecniche, scritture e pratiche. A volte pecchiamo in un eccesso di tecnicismo musicale che rende difficile la comprensione ai non addetti. Resta il fatto per me che difficilmente una musica non sia portatrice di contenuti, valori e scelte che vanno anche al di la della musica e con i quali, principalmente penso, dovremmo confrontarci in continuazione. Se posso azzardare una gerarchia, per me dovrebbe esserci prima la comprensione del contenuto di una musica, per quanto difficile in musica sia parlare di contenuto, e quindi un'analisi del come; così avremmo qualcosa da dibattere e ci sforzeremmo di trovare il nuovo in nuove forme e nuovi contenuti senza tornare a formule che, per quanto affascinanti, sono un ritorno al passato, per di più recente.
RispondiEliminaun interessante contributo a questo dibattito io lo trovo in questo articolo:
RispondiEliminaFrom Music to Sound: Being as Time in the Sonic Arts by Christoph Cox
http://faculty.hampshire.edu/ccox/Cox.Sonambiente%20Essay%20(Book).pdf
giorgio magnanensi