Ascoltare pezzi a caso su youtube può riservare piacevoli sorprese e suscitare interesse. L'altra sera è successo proprio così, quando appena sentito un pezzo per quartetto d'archi che aveva calamitato la mia attenzione, subito ne ho voluto cercare altri dello stesso autore. I pezzi trovati erano frutto del lavoro di Turgut Erçetin, un compositore di origine turca che dopo essersi formato al MIAM (Istanbul Technical Center for Advanced Music Studies) ha compiuto gli studi dottorali a Stanford con Brian Ferneyough, approfondendo le proprie ricerche al CCRMA (Center for Computer Research in Music and Acoustics).
Turgut è stato finalista al Gaudeamus nel 2012, presentando al pubblico
il suo primo quartetto per archi
– il pezzo che primo fra gli altri mi aveva incuriosito e che aggiungo ora giusto come link –, è inoltre stato eseguito al Festival Manifeste (2012) e sarà in residenza al GRAME di Lyon nel 2016.
Il curriculum è sicuramente importante, non tanto per l'elencazione delle esperienze compiute, quanto per ciò che implicano: Turgut compie una ricerca sul suono e sulla temporalità affatto particolari. Leggendo le note di programma del lavoro che voglio presentarvi e leggendo un'intervista su di un blog piuttosto interessante – ma senza per ora aver chiesto direttamente al compositore – emerge chiaramente che il suo pensiero musicale si fonda sulla formalizzazione e sull'organizzazione di strutture spettro-temporali: il discorso musicale che ne risulta tiene conto dell'unione fra suono e tempo, il che non può non farci subito pensare alla musica e al pensiero di Gérard Grisey – soprattutto, direi. Si tratta sicuramente di un tema ampiamente affrontato e declinato da diversi compositori e da numerosi teorici. Ma non sono così sicuro che sia stato espresso con tanta evidenza da compositori della mia stessa generazione – anche se vi prego di correggermi perché sicuramente mi sto sbagliando. Sta il fatto che non sento molto spesso parlare di temporalità o di percezione temporale, e non mi sembra che tale componente possa essere ritenuta come fondamentale per la scrittura e per il processo compositivo. Ammetto che avverto come particolarmente vivo questo problema, e che dunque lo faccio diventare come una questione personale... (per me la composizione dovrebbe avere a che fare in qualche modo con il tempo). Si è parlato per anni di materiale e di figura, spesso considerati come elementi hors temps che perlopiù servivano a riempire scatole vuote, con poco senso. Alcuni risultati – benché figli della loro epoca – non sono stati molto felici. Questo accadeva qualche anno prima dell'avvento del movimento spettralista, che ha avuto il merito di aprire e di sostenere il dibattito sulla temporalità musicale. Per me questo è un elemento molto importante, ancora oggi, e del quale bisognerebbe parlare più spesso.
Vengo quindi al pezzo di Turgut, Unheimlich – del 2010 – per clarinetto / clarinetto basso amplificato, chitarra elettrica (con pedali drive, volume, e-bow e bottleneck) e fisarmonica. Il setting prevede che i segnali d'uscita possano essere eventualmente immessi in due pianoforti coi pedali del forte abbassati, uno dei quali presenta delle corde accordate in modo speciale.
Prima di darvi qualche impressione sul lavoro – del quale potete trovare la registrazione con la partitura qui
- riporto in una non facile traduzione quello che il compositore ha scritto nelle note introduttive (i corsivi sono miei).
Prima di darvi qualche impressione sul lavoro – del quale potete trovare la registrazione con la partitura qui
Note per l'esecuzione
La struttura di Unheimlich non è determinata da un'univoca concezione del tempo, intesa come una singola progressione da un punto a un altro, ma piuttosto da una sua esplorazione in senso divergente e di un suo diverso “diventare” (“becoming”). Cosicché la relazione proporzionale fra l'armonicità spettrale e le strutture temporali – considerata nel processo musicale e nei modi in cui è percepito – è integrale al discorso. Basandomi sulla discussione bergsoniana sulla durée, ritengo che ogni punto della percezione sia in se stesso un “diventare”, e che dunque possegga durate differenti. Ciò detto, le maniere con cui il discorso di Unheimlich si confronta con il “percepito” si focalizzano sul grado di consonanza o dissonanza temporali e con il grado di armonicità e inarmonicità temporali.
Le notazioni
La consonanza / dissonanza temporale si confronta con la relazione fra polarità temporali opposte, ad esempio nel modo in cui la frazione della misura si riflette nei valori presenti al suo interno. L'armonicità e l'inarmonicità temporali hanno a che fare con le tendenze globali della densità, che si biforcano come flusso di immagini spettrali nel tempo, e che successivamente diventano il flusso temporale in sé. Considerando le limitazioni imposte dal setting della chitarra elettrica, dall'uso dell'e-bow e del feedback sugli onset, si utilizza una notazione a flessibilità limitata. Secondo tale notazione, le divisioni ritmiche sono preservate per evidenziare la relazione tra la lunghezza della battuta e i suoi valori interni (consonanza / dissonanza temporale) come sopra menzionato. Ad ogni modo è la distanza grafica che determina la durata di ogni suddivisione all'interno della frazione della misura. Così si esplorano gli elementi del “percepito” e le sue origini temporali all'interno di una risoluzione bilaterale (“bilateral resolution”). E' il grado di tale risoluzione che determina la relazione fra il processo musicale e il discorso musicale di Unheimlich.
Turgut formula diversi concetti, come armonicità/inarmonicità temporale, immagine spettrale, consonanza/dissonanza temporale, e così via. Ne dà una qualche spiegazione in un'intervista realizzata a proposito di un suo lavoro per pianoforte, qui. La consonanza / dissonanza temporale è, se ben capisco, l'accordo o il disaccordo fra velocità temporali diverse appartenenti a forme spettrali differenti, cosicché le componenti del suono – raggruppate in identità o oggetti ben formati, ma diversi gli uni dagli altri – possono convergere o divergere in funzione delle loro temporalità (che a quanto pare possono essere stimate e strutturate). Ammetto che si tratta di una concezione intrigante, anche se non è perfettamente chiara nella sua esposizione (ripeto, due parole col compositore non guasterebbero, e si potrebbe porgli la domanda di come stima, misura e successivamente struttura tali temporalità, e via dicendo). A parte il portato tecnico e la formalizzazione, ciò che colpisce di più dell'introduzione al pezzo di Turgut – e che ha una corrispondenza diretta con la percezione della musica – è il breve paragrafo seguente, a suo modo illuminante, che riporto nell'inglese originale – poi tradotto:
General Remarks
All sounds should always be allowed to ring and melt to each other.
Tutti i suoni dovrebbero sempre essere lasciati risuonare e fondersi gli uni negli altri.
Questa mi sembra la chiave di lettura di Unheimlich: la plasticità e la bellezza della fusione fra textures diverse. I glissati e i multifonici del clarinetto e della chitarra elettrica si mescolano e si confondono fra gli strumenti, cosicché non sappiamo sempre a chi appartengono. La fisarmonica lega e sostiene timbricamente questo dialogo, che dapprima è come una lenta ondulazione, e che verso i tre quarti della composizione si articola in piccoli arpeggi ascendenti di armonici, per poi diventare liscio e piatto alla fine. Non sottolineo solamente il discorso sul timbro, perché a mio avviso esiste anche un legame molto forte con il sentimento del tempo: il discorso musicale fluisce lentamente, e ogni passaggio o ogni inflessione hanno il tempo di essere percepiti e vissuti coscientemente dall'ascoltatore. Anzi, forse più di questo: ho la sensazione che il “percepito” vive nei momenti in cui si attiva la memoria di se stesso, e come in un déjà vu, la percezione dell'evento e il suo ricordo coabitano nella stessa fetta temporale, scambiandosi reciprocamente i ruoli. Magari esagero, però se ascolto il pezzo senza vedere la partitura a tratti riesco a perdermi nel flusso musicale – e ammetto che mi piace moltissimo.
Concludendo, mi sembra che il lavoro di Turgut Erçetin sia da conoscere e da ascoltare, non soltanto per i concetti che esprime attraverso la sua ricerca, ma soprattutto per i suoi esiti musicali, intriganti e stranianti allo stesso tempo.
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