martedì 17 marzo 2015

Clara Maïda – Doppelklänger

Cerco di tradurre la nota di programma di sala che Clara Maïda scrive per Doppelklänger (2008), per pianoforte preparato, che trovate qui.




“Il titolo […] è derivato dal termine tedesco Doppelgänger. [Esso] significa “doppio” o “sosia” ed è impiegato nella sfera paranormale per designare il doppio fantasmatico di una persona vivente, oppure per indicare il fenomeno della bilocazione – un altro-me-stesso visibile in un altro punto dello spazio. E' anche un tema che può afferire al campo letterario (Jean-Paul, Guy de Maupassant, etc.) come a quello psichiatrico – in cui possiamo interpretare tale fenomeno come una turba mentale di dissociazione della personalità”.

“Nell'ambito della mia residenza a Berlino, sperimentando per la prima volta il fatto di vivere all'estero per un lungo periodo – con l'eventuale idea di emigrare in tale città – mi sono avvicinata al tema del Doppelgänger, all'esperienza dello sdoppiamento corporeo o della dissociazione psichica, della sensazione d'esilio vissuta, a tratti, in maniera intensa e dolorosa. La perdita dei punti di riferimento, e l'impressione di galleggiamento che ne risultava, generavano una sorta di bilocazione, nel senso che una parte di me si sentiva a Berlino, quando l'altra viveva come se fosse a Parigi”.

“Il pezzo tenta di ri-tracciare quest'esperienza, [dove] l'atto di scrittura era [...] vissuto come un atto liberatorio, capace di disfarsi di quel disagio psicoaffettivo e di far ritrovare [al contempo] l'unità psichica e la sensazione di [essere in] un luogo più definito, o al contrario di accettare un posto indefinito.”

“Questo lavoro – uno strappo o una migrazione – che ha preso nove mesi (il tempo di una gravidanza...) forma l'architettura del pezzo, che si articola intorno a nove piccole strutture, nove piccole costruzioni chiaramente percettibili, ad eccezione dell'ultima, perché il processo è compiuto. La loro organizzazione si sgretola progressivamente, malgrado il loro persistente ritornare, attraverso diverse alterazioni (migrazione melodica e armonica, liquidazione progressiva del materiale, etc.).”

“Queste strutture funzionano a un doppio livello. Il primo enuncia un'armatura di alcune note dall'andamento ricorrente e riconoscibile malgrado le distorsioni del materiale. Esso rende conto della resistenza dei punti di ancoraggio e del rifiuto di abbandonare gli schemi comportamentali utilizzati fino a quel momento. Il secondo livello sviluppa la gravitazione delle unità minime intorno a tali punti di ancoraggio. Esso è il motore di una possibile mutazione, sia per la scomparsa progressiva di tali unità, sia per la loro proliferazione. Si ha dunque una sorta di dualità sonora che è ripartita fra la ripetizione di formule che “cospirano” e la mobilità sfuggente di punti e di linee che inducono l'estensione del campo sonoro.”

“Questa struttura, a doppia faccia, rivela alla fine del suo percorso di trasformazione un'altra doppia struttura costituita da piccoli motivi di tre suoni suonati sulle corde del pianoforte, che emerge in modo fuggitivo e frammentario quando cominciano ad apparire dei brevi profili cromatici. Questa sorta di struttura nascosta, progressivamente svelata, si apre verso un'altra dimensione, inducendo uno sbilanciamento verso un'altra scena sonora sottolineata dal timbro […] delle corde dello strumento.”

“Doppia scena e fonte sonora, doppia struttura, doppio timbro. Doppelklänger non designa solamente la presenza di un doppio suono, ma il processo, le traiettorie di sdoppiamento, bilocazione, de-territorializzazione del suono in molteplici spazi – al contempo musicali e materiali – e il tentativo di mantenere una coerenza malgrado queste entità separate.”

Ho così evocato due elementi chiavi per una possibile lettura di Doppelklänger, il processo e il timbro.

Il primo è un tipo di manipolazione simbolica del materiale – uso senza paura questo termine, anche se confesso che qualche tempo fa mi era scomodo – che in questo caso si manifesta come proliferazione. La tecnica in sé non è né ricca né povera. Lo spirito compositivo la anima o la lascia morta, a seconda dei casi. Nel caso di Doppelklänger la proliferazione è viva, o meglio, riprende lo sviluppo di ciò che è vivente, ed è chiaramente orientata in senso temporale. Pongo quindi alcune domande – e la lettrice o il lettore risponderà, se vuole: la direzione temporale viene dalla tecnica impiegata o dal sentimento del tempo? O è il sentimento del tempo a determinare la scelta della tecnica compositiva più appropriata? Da dove proviene il sentimento del tempo? Si tratta di un fenomeno psichico che chi compone riconosce nel comportamento di eventi esterni e che sa ricreare costruendo con le note i suoi mondi. C'è uno scambio fra i due elementi: così come immagino in che modo si muovono, da dove vengono e dove vanno i pedoni sulle strisce pedonali, così forse posso fare con i suoni.

Veniamo al timbro – sì, possiamo parlare anche di timbro: questo è in fin dei conti quello che sentiamo, ciò che ci arriva dallo strumento, perché è unito al suono, e questo viene dall'atto compositivo, che deriva dal pensiero, che deriva dal corpo. Il timbro viene dunque dal corpo di chi compone. In Doppelklänger il timbro è distorto, lucente e metallico. Potrei riferirmi alla corrente “saturazionista”, ma il termine di paragone finisce qui.

Infatti il timbro si sposa molto bene con il processo, nel senso che la ricchezza spettrale del primo è messa in risalto dall'atto compositivo – e viceversa: il suono indirizza la tecnica, perché lo scopo è quello di accoglierlo così com'è, e quale miglior modo di farlo se non collocarlo in un processo che prevede un dilavamento progressivo della massa sonora, dove alla fine non rimane che un solo suono ripetuto?

Doppelklänger mi piace perché è rude e ben pensato. A volte ascoltiamo pezzi molto differenti da questi, dove o si hanno sonorità atroci ma zero forma, oppure architetture fantastiche che sorreggono vuoti di senso.

Doppelklänger mi piace perché ha un senso ed è capace di trasmettermelo, anche senza l'intermediazione della nota di programma – che comunque lo contestualizza. Questo è, per me, un punto a favore del lavoro.

Vi invito ad ascoltare anche un altro pezzo di Clara Maïda, Mutatis Mutandis, per archi – purtroppo non ve ne sono altri su youtube – e comunque di visitare il suo sito internet.



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