Cerco di tradurre la nota
di programma di sala che Clara Maïda scrive per Doppelklänger (2008),
per pianoforte preparato, che trovate qui.
“Il titolo […] è
derivato dal termine tedesco Doppelgänger. [Esso] significa
“doppio” o “sosia” ed è impiegato nella sfera paranormale
per designare il doppio fantasmatico di una persona vivente, oppure
per indicare il fenomeno della bilocazione – un altro-me-stesso
visibile in un altro punto dello spazio. E' anche un tema che può
afferire al campo letterario (Jean-Paul, Guy de Maupassant, etc.)
come a quello psichiatrico – in cui possiamo interpretare tale
fenomeno come una turba mentale di dissociazione della personalità”.
“Nell'ambito della mia
residenza a Berlino, sperimentando per la prima volta il fatto di
vivere all'estero per un lungo periodo – con l'eventuale idea di
emigrare in tale città – mi sono avvicinata al tema del
Doppelgänger, all'esperienza dello sdoppiamento corporeo o
della dissociazione psichica, della sensazione d'esilio vissuta, a
tratti, in maniera intensa e dolorosa. La perdita dei punti di
riferimento, e l'impressione di galleggiamento che ne risultava,
generavano una sorta di bilocazione, nel senso che una parte di me si
sentiva a Berlino, quando l'altra viveva come se fosse a Parigi”.
“Il pezzo tenta di
ri-tracciare quest'esperienza, [dove] l'atto di scrittura era [...]
vissuto come un atto liberatorio, capace di disfarsi di quel disagio
psicoaffettivo e di far ritrovare [al contempo] l'unità psichica e
la sensazione di [essere in] un luogo più definito, o al contrario
di accettare un posto indefinito.”
“Questo lavoro – uno
strappo o una migrazione – che ha preso nove mesi (il tempo di una
gravidanza...) forma l'architettura del pezzo, che si articola
intorno a nove piccole strutture, nove piccole costruzioni
chiaramente percettibili, ad eccezione dell'ultima, perché il
processo è compiuto. La loro organizzazione si sgretola
progressivamente, malgrado il loro persistente ritornare, attraverso
diverse alterazioni (migrazione melodica e armonica, liquidazione
progressiva del materiale, etc.).”
“Queste strutture
funzionano a un doppio livello. Il primo enuncia un'armatura di
alcune note dall'andamento ricorrente e riconoscibile malgrado le
distorsioni del materiale. Esso rende conto della resistenza dei
punti di ancoraggio e del rifiuto di abbandonare gli schemi
comportamentali utilizzati fino a quel momento. Il secondo livello
sviluppa la gravitazione delle unità minime intorno a tali punti di
ancoraggio. Esso è il motore di una possibile mutazione, sia per la
scomparsa progressiva di tali unità, sia per la loro proliferazione.
Si ha dunque una sorta di dualità sonora che è ripartita fra la
ripetizione di formule che “cospirano” e la mobilità sfuggente
di punti e di linee che inducono l'estensione del campo sonoro.”
“Questa struttura, a
doppia faccia, rivela alla fine del suo percorso di trasformazione
un'altra doppia struttura costituita da piccoli motivi di tre suoni
suonati sulle corde del pianoforte, che emerge in modo fuggitivo e
frammentario quando cominciano ad apparire dei brevi profili
cromatici. Questa sorta di struttura nascosta, progressivamente
svelata, si apre verso un'altra dimensione, inducendo uno
sbilanciamento verso un'altra scena sonora sottolineata dal timbro
[…] delle corde dello strumento.”
“Doppia scena e fonte
sonora, doppia struttura, doppio timbro. Doppelklänger non
designa solamente la presenza di un doppio suono, ma il processo, le
traiettorie di sdoppiamento, bilocazione, de-territorializzazione del
suono in molteplici spazi – al contempo musicali e materiali – e
il tentativo di mantenere una coerenza malgrado queste entità
separate.”
Ho così evocato due
elementi chiavi per una possibile lettura di Doppelklänger,
il processo e il timbro.
Il
primo è un tipo di manipolazione simbolica del materiale – uso
senza paura questo termine, anche se confesso che qualche tempo fa mi
era scomodo – che in questo caso si manifesta come proliferazione.
La tecnica in sé non è né ricca né povera. Lo spirito compositivo
la anima o la lascia morta, a seconda dei casi. Nel caso di
Doppelklänger la
proliferazione è viva, o meglio, riprende lo sviluppo di ciò che è
vivente, ed è chiaramente orientata in senso temporale. Pongo quindi
alcune domande – e la lettrice o il lettore risponderà, se vuole:
la direzione temporale viene dalla tecnica impiegata o dal sentimento
del tempo? O è il sentimento del tempo a determinare la scelta della
tecnica compositiva più appropriata? Da dove proviene il sentimento
del tempo? Si tratta di un fenomeno psichico che chi compone
riconosce nel comportamento di eventi esterni e che sa ricreare
costruendo con le note i suoi mondi. C'è uno scambio fra i due
elementi: così come immagino in che modo si muovono, da dove vengono
e dove vanno i pedoni sulle strisce pedonali, così forse posso fare
con i suoni.
Veniamo
al timbro – sì, possiamo parlare anche di timbro: questo è in fin
dei conti quello che sentiamo, ciò che ci arriva dallo strumento,
perché è unito al suono, e questo viene dall'atto compositivo, che
deriva dal pensiero, che deriva dal corpo. Il timbro viene dunque dal
corpo di chi compone. In Doppelklänger
il
timbro è distorto, lucente e metallico. Potrei riferirmi alla
corrente “saturazionista”, ma il termine di paragone finisce qui.
Infatti il timbro si sposa molto bene con il processo, nel senso che
la ricchezza spettrale del primo è messa in risalto dall'atto
compositivo – e viceversa: il suono indirizza la tecnica, perché
lo scopo è quello di accoglierlo così com'è, e quale miglior modo
di farlo se non collocarlo in un processo che prevede un dilavamento
progressivo della massa sonora, dove alla fine non rimane che un solo
suono ripetuto?
Doppelklänger
mi
piace perché è rude e ben pensato. A volte ascoltiamo pezzi molto
differenti da questi, dove o si hanno sonorità atroci ma zero forma,
oppure architetture fantastiche che sorreggono vuoti di senso.
Doppelklänger
mi
piace perché ha un senso ed è capace di trasmettermelo, anche senza
l'intermediazione della nota di programma – che comunque lo
contestualizza. Questo è, per me, un punto a favore del lavoro.
Vi
invito ad ascoltare anche un altro pezzo di Clara Maïda,
Mutatis Mutandis, per
archi – purtroppo non ve ne sono altri su youtube – e comunque di
visitare il suo sito internet.
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